In sostanza, il presidente di Montecitorio ha optato per la soluzione drastica, paventata, durante la giornata di ieri, da moltissimi osservatori, ma ritardata fino all’ultimo, quando si è rivelata inevitabile, per scongiurare la decadenza del decreto.
Se, infatti, il decreto 133 avesse mancato la conversione in legge, oggi ci troveremmo ristabilita la seconda rata Imu, a pochissimi giorni dalla beffa del mini conguaglio. Immaginarsi il ritorno della quota completa di dicembre sarebbe avrebbe davvero presentato le sembianze di una colossale presa in giro per i contribuenti e i professionisti, che nei giorni scorsi hanno impegnato tempo e risorse nei calcoli impossibili sugli importi per prime case, terreni e tutti gli edifici esclusi dal pagamento Imu nei mesi scorsi.
A mettere in serio pericolo il decreto, come noto, l’elevato numero di emendamenti e l’ostruzionismo del MoVimento 5 Stelle, che protestava, però, per l’altra faccia del decreto, quella che prevede la svendita di partecipazioni in Bankitalia ai maggiori istituti di credito del Paese, leggi Unicredit e Intesa San Paolo.
Così, alla fine, il presidente Boldrini non ha avuto altra scelta che ricorrere allo strumento contemplato nel regolamento del Senato, ma, a Montecitorio, presente solo a seguito dell’interpretazione di Luciano Violante, predecessore sullo scranno più alto nella XIII Legislatura, dal 1996 al 2001, nella fase dei governi di centrosinistra, prima Prodi, poi D’Alema e Amato.
Dunque, veniamo alla parte del decreto che riguarda Bankitalia. Nello specifico, il capitale dell’istituto viene rivalutato da 156mila euro a 7,5 miliardi. Una quotazione davvero stellare, si direbbe. Conseguenza automatica, crescono sensibilmente i dividendi, stabiliti allo 0,5 percento sulle riserve e al 10 del capitale. Ai privati, insomma, quest’anno finiranno diverse centinaia di milioni di euro in più rispetto alla tornata precedente. Di contro, in Senato è arrivato anche un emendamento che abbassa la tassazione sulle plusvalenze, stabilita al 12 percento e dunque ben più bassa del 20 previsto per le rendite finanziarie. Festa completa, insomma.
A bilanciare queste novità, dovrebbe arrivare la previsione, contenuta sempre nel decreto passato ieri con la ghigliottina di Montecitorio, secondo cui i privati non possono detenere oltre il 3% delle quote in Bankitalia: una decisione che obbligherà i due principali soci, Unicredit e Banca Intesa, a rivendere le proprie quote in eccesso, pari a quasi il 50% del capitale, ampiamente rivalutato e dunque pronto a iniettare denaro sonante nelle casse dei maggiori istituti nazionali. Un “giochino” che, alla rivalutazione del capitale, dovrebbe superare i 4 miliardi di euro.
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