Decadenza sindaco metropolitano: pochi consiglieri decidono per tutti

Il Consiglio comunale di Messina, a metà febbraio, sarà chiamato a decidere in merito alla mozione di sfiducia al sindaco, Renato Accorinti, sottoscritta e depositata da 17 consiglieri.

Basteranno 27 voti favorevoli per interrompere l’avventura del primo cittadino più visionario d’Italia.

Una città divisa

La città è divisa tra chi ha interpretato questa stagione come una rivoluzione e chi l’ha vissuta come un incubo (l’annuale inchiesta de “IlSole24Ore” ha collocato Messina negli ultimissimi posti tra le città in cui si vive meglio).

Il dibattito è tutto incentrato su come il primo cittadino, noto per le sue magliette “free Tibet”, ha amministrato la città dello Stretto.

Accorinti, però, è anche il sindaco metropolitano, di un’area che coinvolge 108 comuni ed una popolazione di oltre 651mila abitanti (solo 250mila residenti nel comune capoluogo).

In forza della legge Delrio (L. n. 56/2014), che la Regione ha dovuto recepire in maniera pressoché integrale, se ventisette membri del consiglio comunale di Messina decideranno di sfiduciare Accorinti, circa duemila amministratori locali non potranno far altro che prenderne atto.

Se il consiglio comunale della città capoluogo salverà il sindaco più alternativo d’Italia, lo imporrà a 108 comuni, se deciderà di mandarlo a casa, interromperà la “rivoluzione” per 108 comuni.

Le popolazioni, i sindaci, i consiglieri di 107 enti locali non potranno intervenire né contro né a favore di Accorinti.

Il suo operato come sindaco metropolitano non è soggetto né a censura né ad approvazione.

La legge 7 aprile 2014, n. 56, che detta le disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, prevede al comma 19, dell’art. 1, che il sindaco metropolitano sia di diritto il sindaco del comune capoluogo.

Se il primo cittadino del comune capoluogo viene sfiduciato…cosa accade?

Se il primo cittadino del comune capoluogo viene sfiduciato, decade anche come sindaco metropolitano, anche se la città metropolitana ne avesse apprezzato l’operato.

In effetti, il legislatore siciliano ha provato a correggere quest’ anomalia fortemente voluta da Delrio.

Il comma 3 dell’art. 8 della L.r. 24 marzo 2014 parlava di modalità di elezione del sindaco metropolitano e della giunta metropolitana.

L’art. 13 della L.r. 4 agosto 2015, n. 15, prevedeva che il sindaco metropolitano fosse eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali, in carica, dei comuni appartenenti alla città metropolitana nonché dai presidenti dei consigli circoscrizionali, in carica, del comune capoluogo, che compongono l’adunanza elettorale metropolitana.

Erano candidabili a sindaco metropolitano i sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana, il cui mandato scadeva non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni.

Previsione mantenuta, malgrado le pressioni politiche del governo nazionale e le minacce di impugnazione della disciplina regionale, anche nella L.r. n. 12 novembre 2015, n. 28 e dalla L.r. 1 aprile 2016, n. 5.

L’Assemblea Regionale Siciliana

L’Assemblea Regionale Siciliana, pur adeguando la legge alle indicazioni provenienti da Roma, ha difeso le proprie prerogative e la propria competenza legislativa esclusiva in materia di “enti locali e circoscrizioni relative” nonché di “ordinamento e controllo degli enti locali”.

La Corte costituzionale aveva già riconosciuto che la legge n. 56/2014 realizzasse una grande riforma del sistema della geografia istituzionale della Repubblica e conseguentemente costituisse una grande riforma economico sociale ai cui principi anche le regioni a statuto speciale dovevano conformarsi.

La Corte Costituzione parla di principi e non di obbligo di recepimento passivo da parte delle regioni a statuto speciale. Le regioni a statuto speciale, al più, hanno l’obbligo di adeguare i propri ordinamenti ai principi della legge Delrio.

Secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, però, la L.r. n. 15/2015 non rispettava i principi dettati dallo Stato, così ledendo le prerogative legislative statali in questa materia e, pertanto, avrebbe violato i precetti costituzionali che la presidiano.

L’architettura degli organi politici e le modalità della loro scelta, però, non appare un principio legislativo ma una mera declinazione organizzativa.

Per il Consiglio dei Ministri, invece, non era immaginabile una situazione di diversificazione strutturale tra regione e regione.

Un’affermazione che non trova riscontro nella storia repubblicana. Lo Statuto siciliano già prevedeva i liberi consorzi di comuni e solo nel 1986 si passò, con la L.r. n. 9, ad istituire le Province regionali.

Con la L.r. n.17 maggio 2016. n. 8, l’Assemblea Regionale ha abolito le consultazioni di secondo livello e previsto, anche in Sicilia, la designazione diretta del primo cittadino del comune capoluogo.

Una soluzione imposta dal Governo nazionale e che, rispetto alla sfiducia del sindaco metropolitano di Messina, porta i consiglieri della città capoluogo a poter dire ai loro colleghi degli altri 107  comuni “Noi siamo noi, e voi non contate niente” (versione edulcorata della celebre frase del marchese del Grillo).

 

Luciano Catania

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