Ma è già polemica.
Con il testo diventato legge lo scorso 31 ottobre, infatti, è stata introdotta una nuova fattispecie di reato che taglia i tempi della prescrizione.
Sul fronte legalitario, si accusa il governo di aver raggiunto i propositi opposti a quelli per cui la legge era nata, mentre il ministro Severino e il suo entourage difendono l’impianto generale del provvedimento.
Ma di cosa si tratta, nello specifico? Intanto, va ricordato che la nuova legge anticorruzione è stata ripescata dal dimenticatoio dove era finita da parecchio tempo, in seguito agli scandali che hanno scosso dalle fondamenta il sistema delle Regioni, su tutti il caso Fiorito in Lazio e il rischio di default in Sicilia.
Per tamponare questa crisi generale delle istituzioni, il governo ha dunque accelerato bruscamente proprio sulla legge anticorruzione, introducendo anche alcune disposizioni accessorie, come quelle, parimenti contestate, per la disciplina dei magistrati cosiddetti “fuori ruolo”.
Ma, in simultanea alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il nodo vero resta un altro ed è legato al reato di concussione, rivisitato nel testo definitivo della legge e completato di una tipologia creata ex novo.
Il comportamento illecito associato al reato di concussione, fino a ieri inesistente nel Codice penale, è stato denominato “concussione per induzione” e si distingue per la previsione di una pena inferiore rispetto al reato inteso in senso ampio.
La reclusione, infatti,per questa tipologia viene ridotta a un massimo di 8 anni, rispetto agli attuali dodici, con conseguente decurtamento dei tempi di accesso alla prescrizione, abbassati da 15 a 10 anni dal momento in cui la condotta illecita viene posta in essere.
Secondo l’esecutivo, però, questa nuova fattispecie non finirebbe per ammorbidire la mano nei confronti degli imputati, ma avrebbe la funzione di fornire un quadro più chiaro ed eterogeneo della natura differente che contraddistingue questi comportamenti.
Le perplessità, da parte degli organi giudiziari e di alcuni politici, però restano, proprio perché questa specifica è finita all’interno di un ddl dallo spirito esattamente inverso, rivolto contro tutti i fenomeni corruttivi in atto e specificamente nella pubblica amministrazione.
Basti pensare, a questo proposito, che reati come peculato e abuso d’ufficio vedono le proprie pene severamente inasprite, da tre a quattro anni in un caso e da sei mesi a un anno nell’altro, come condanna minima. Oppure, si faccia riferimento all’altra nuova denominazione penale, quella del “traffico di influenze“, che punisce i famosi gradi di separazione se sfruttati per proprio interesse nei pubblici uffici.
Le due visioni, tra il Ministero e i suoi critici, restano, comunque, distanti e solo da oggi si inizierà a valutare chi avrà avuto ragione, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale che rende effettive le modifiche.
Naturalmente, altre e varie le novità che arrivano con il provvedimento di fresca approvazione, a cominciare dal settore delle imprese. Queste, potranno essere accolte in una lista di eccellenza presso la Prefettura, che certificherà la trasparenza e l’adesione ai principi di legalità dimostrata dalla realtà imprenditoriale, che sarà così esentata dalla presentazione dell’attestato antimafia. Si tratta della cosiddetta “white list“.
Incentivati, poi, sempre in ambito amministrativo, le denunce e le segnalazioni di comportamenti scorretti, grazie alla tutela del dipendente che stigmatizzi la condotta dei colleghi o superiori. Questa pratica, conosciuta nel mondo anglosassone con il nome di “whistleblowing“, garantisce l’anonimato a chi pone in evidenza malversazioni o simili all’interno dei pubblici uffici.
Stop, infine, agli incarichi in commissioni o gestione delle finanze per chi ha riportato condanne penali, anche se non passate in giudicato, in seguito a reati contro la pubblica amministrazione.
Con la legge anticorruzione, viene anche indetto l’obbligo, per il governo centrale, di stilare un codice etico per la PA e, per gli enti, di pubblicare i propri bilanci di esercizio e a consuntivo, in nome di uno sforzo ulteriore a fini di trasparenza.
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