Come ci è ormai noto, il 15 giugno 2013 è debuttato il regolamento tramite il quale Cassa forense ha attuato l’art. 21 commi 8-9 della legge 247/2012 che modifica l’ordinamento professionale degli avvocati ed impone la contestuale iscrizione agli albi e all’istituto.
Il 2 febbraio 2013 è entrata in vigore la legge n. 247/2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) che ha reso obbligatoria l’iscrizione alla Cassa di Previdenza Forense.
In particolare, con l’art. 21, comma 8, “l’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Forense.
Quindi l’iscrizione alla Cassa Forense, già obbligatoria per tutti gli iscritti agli Albi che esercitino la professione con carattere di continuità – cioè raggiungano prefissati limiti minimi di reddito o di volume d’affari professionali -, si vuole ora fare coincidere con il momento dell’iscrizione agli Albi, a prescindere dai parametri reddituali.”
Il comma 9 dell’art. 21 ha affidato alla Cassa Forense di emanare, entro un anno dall’ entrata in vigore della legge, un proprio regolamento che determini – per tutti gli iscritti, attuali e nuovi, con reddito inferiore a parametri reddituali da stabilirsi – i minimi contributivi dovuti, nonché eventuali condizioni temporanee di esenzione o diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo.
Si propone dunque una breve analisi del Regolamento approvando dell’art. 21 Legge di Ordinamento Forense.
Riassumendo, con la riforma si vuole far coincidere l’iscrizione alla Cassa Nazionale di previdenza e assistenza Forense con il momento dell’iscrizione agli Albi professionali, a prescindere da parametri reddituali.
A mio modesto giudizio la Cassa non potrà prescindere dai parametri reddituali nell’attribuzione dei contributi da versare, per non essere tacciata di illegittimità.
E’ buona norma sociale europea che le imposte vadano pagate in base al reddito, chicchesia non può vietare l’iscrizione ad altra forma alternativa di previdenza obbligatoria e, quindi, alla gestione separata INPS e nel contempo pretendere la potenziale costrizione all’indebitamento di alcuno per pagare contributi minimi predefiniti e svincolati dal reddito, seppure ridotti del 50%.
Prendiamo il caso limite però possibile, in cui il legale, in base al dettato della Cassa Forense, abbia da sostenere un’imposta superiore addirittura al reddito ottenuto nell’anno solare.Potrei ad ogni modo indicare tanti altri casi poco meno drammatici di quello avanzato, che Vi lascio comunque immaginare, in tempi di crisi della professione come quella che siamo un pò tutti costretti ad affrontare.
In un articolo di Isidoro Trovato pubblicato dal Corriere della Sera sull’impoverimento dei giovani professionisti, viene “fotografata” la crisi. I giovani professionisti non sono più parte di categorie privilegiate e caste di potenti. Tra i professionisti i più anziani vivono situazioni economiche migliori. I giovani annaspano anche per la crisi economica italiana in corso. “L’Adepp ha fornito dati inequivocabili: il reddito medio dei professionisti under 40 è inferiore del 48,4% rispetto al reddito degli over 40. Tra le donne la differenza percentuale tra le diverse generazioni sale al 55,8%.
Molti giovani professionisti faticano ad arrivare a fine mese. Avvocati e architetti in primis. Le cose vanno meglio per psicologi, biologi e geometri.
I giovani professionisti non riescono più a far fronte alle spese previdenziali. Tra gli avvocati, ora che la riforma ha previsto l’iscrizione obbligatoria alla cassa di categoria, si parla di almeno 10mila avvocati che usciranno dagli ordini. E se le condizioni non saranno più morbide a rischiare sono 20mila.” [1]
Va cambiata l’opinione pubblica prevalente, la cultura e la mentalità vecchia e stravecchia di “avvocato uguale a miliardario”, ormai è così solo per pochi.
In un articolo pubblicato da AGICONSUL, “ L’ ART. 20 DELLA RIFORMA FORENSE E LA TUTELA DELLA DIGNITA’” emerge, riguardo all’art. 20 della riforma forense (continuità professionale) come “Le difficoltà di una categoria che conta oltre 220 mila iscritti” siano sotto gli occhi di tutti; decine di migliaia di giovani avvocati annaspano faticosamente in proprio o presso studi di cui, di fatto, sono dipendenti, “senza ricevere alcuna delle tutele previste per qualsiasi lavoratore subordinato”.
Parliamo di professionisti senza tutela alcuna dal punto di vista lavorativo, “veri e propri “soggetti deboli” che rischiano di essere vessati e incalzati da questa norma sulla continuità professionale a scapito della loro dignità e tranquillità personale. Il criterio della continuità dell’esercizio professionale, come garanzia dell’affidabilità della prestazione legale, è una strumentale forzatura. “Tale è infatti l’assunto che ad un più alto fatturato corrisponde una maggiore affidabilità della prestazione legale come se, fra l’altro, la difficoltà di fatturare dipendesse dalla negligenza o impreparazione del professionista e fosse a quest’ultimo colpevolmente imputabile fino al punto di cancellarlo dall’Albo e privarlo, comunque, del proprio lavoro con cui egli si mantiene. L’art. 35, primo comma, della Costituzione tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (senza distinzioni fra lavoro manuale e intellettuale), ergo, fino a prova contraria, in una Repubblica che si fonda ancora su di esso anche il lavoro di un Avvocato è ampiamente tutelato, a maggior ragione ove prevale sul capitale”. La Corte di giustizia europea con un ben consolidato orientamento si esprime “contro norme che individuano nella continuità di un’attività professionale il requisito cui venga condizionato il riconoscimento di un qualsiasi beneficio, la possibilità di accesso a uno status determinato, una qualifica o un trattamento, lo ha fatto a tutela della dignità del professionista poiché intravedeva in tali norme possibilità di discriminazione anche indiretta a scapito delle donne e dei soggetti deboli in genere”.
Si pensi ad Avvocati che, loro malgrado, non riuscendo a mantenere il passo con i criteri della continuità professionale saranno costretti a produrre giustificazioni varie “innanzi a loro colleghi e concorrenti sul perché in quel triennio non hanno raggiunto determinati parametri reddituali con grave e inaccettabile lesione e mortificazione della loro dignità personale; tralasciando poi i probabili risvolti clientelari”. Quale sorte prevedono per quei 50-60 mila professionisti che attualmente non sono in linea con i criteri di continuità previsti dalla previdenza forense? “E tutti gli altri avvocati si sentirebbero tranquilli a lasciare al Ministro di Grazia e Giustizia e al Consiglio Nazionale Forense una delega in bianco volta a individuare periodicamente e a propria discrezionalità i criteri a cui bisognerà attenersi per conservare l’iscrizione all’Albo e per poter continuare a lavorare? In definitiva, anche volendo dare un minimo di credito alle istanze del CNF e dell’ OUA che con tanta enfasi perorano l’approvazione di questo articolo, va affermato con forza che prima della dignità e del decoro della professione di Avvocato viene la tutela della dignità e del decoro della persona umana e di chi lavora.”
L’obbligo di doppia iscrizione (all’Albo ed alla Cassa Forense) crea perplessità tra gli avvocati, già impoveriti dai nuovi parametri forensi e dal pagamento di un’assicurazione diventata obbligatoria.
L’Avv. De Tilla, ex presidente dell’Associazione Nazionale Giovani Avvocati, ha definendo la riforma come “un pasticcio legislativo”. Ha dichiarato l’Avv. De Tilla: “Da un lato fissare contributi molto contenuti per chi ha redditi bassi rischierebbe di creare squilibrio negli assetti economici dell’Ente, dall’altro fissarli ridotti ma non troppo significherebbe vessare colleghi fino ad oggi non iscritti che guadagnano poco o niente anche per effetto della crisi e a farne le spese sarebbero prevalentemente i giovani”. L’obbligatorietà della doppia iscrizione è una certezza, mentre allo stato ancora nebuloso appare la definizione dei parametri per i versamenti, su cui si dibatte largamente in questi giorni, in attesa che venga emanato il regolamento.
Il lavoro é diminuito in maniera consistente, grazie al tasso di concorrenzialità allo stato brado unito alla crisi economica, crisi che spesso porta i cittadini a rinunciare all’assistenza di un professionista. Nel mentre migliaia di neo-avvocati, ma non solo loro, attendono una riqualificazione del loro ruolo professionale, dopo le numerose penalizzazioni subite. Sull’ elevato numero di avvocati va rilevato che sono tanti perchè i nostri governanti hanno chiuso ogni sbocco alternativo, tra cui in primis l’ apertura al notariato o nella pubblica amministrazione. Il vero problema, dunque, non è l’elevato numero di avvocati, che comunque garantisce una certa concorrenza, ma l’ assenza di sbocchi dopo la laurea in giurisprudenza.
Occorre forse una riforma universitaria in primis. Non tutti vogliono fare l’avvocato. Partendo magari dalla considerazione che molteplici potrebbero essere le opportunità: carriera internazionale, magistratura, consulenze esterne ai tribunali etc. etc., quindi perché studiare cinque anni tutto il diritto possibile e immaginabile senza specializzarsi già dal terzo anno in poi su quello che si desidera fare?
La differenza con l’Italia non è tanto di mercato, quanto piuttosto culturale. Sul problema ha così esposto criticamente l’Avv. Castaldi (che ha studi in Francia ed in Italia): “Tanti risponderebbero: di mercato! E darebbero le solite cifre sul sovraffollamento della professione e l’inefficienza della macchina giudiziaria. Io penso invece che se siamo arrivati a questo punto il problema è innanzitutto culturale. Si è voluto perpetuare uno schema professionale, culturale e direi antropologico che valeva, forse, negli anni Sessanta.”
Si auspica di non dover assistere a ciò che già sta accadendo in altri settori, con chiusure continue di attività individuali e strapotere di poche realtà; nel settore legale si chiamano “law firms”, super-studi a cui associarsi nella speranza di vedere il lavoro in crescita e le spese in crollo verticale. Nell’attesa di arrivare ai fatidici 70 anni (in salute, ovviamente) per poter finalmente riavere parte degli oboli versati in Cassa e godersi un meritato riposo”. [2]
Tornando al regolamento forense, in vari punti trattati, sul piano interpretativo giuridico-legislativo, il regolamento appare non tenere conto del dettato normativo in materia, esaminiamo alcuni punti.
Stabilisce il Regolamento: “La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali”.
Ciò dovrebbe significare che più bassi sono i parametri reddituali, propozionalmente più bassi dovrebbero essere i contributi da versare.
Unico riferimento legittimo possibile è pertanto la condizione della redditualità – Il regolamento approvando fa invece riferimento all’età più o meno avanzata, al numero di anni di iscrizione all’albo ed in base a questi parametri diminuisce in proporzione i contributi da versare.Ciò appare in evidente contrasto con la norma che invece radica la diminuzione dei contributi alla sola consistenza dei parametri reddituali.
In base alla legge – e non al regolamento, che è fonte normativa di rango inferiore-, due soggetti lavoratori di diversa età anagrafica devono pagare lo stesso se hanno il medesimo parametro reddituale.
Così come un soggetto di 30 anni (o con 5 anni di iscrizione all’albo) con un parametro reddituale più alto di uno di 50 anni (e/o che ha 20 anni di iscrizione all’albo) dovrebbe pagare di più secondo la legge.
Il Regolamento in esame non tiene conto dei parametri imposti dalla legge e fa l’opposto dando priorità all’età o agli anni di iscrizione all’albo.
Per questi motivi la questione rischia di andare al vaglio dei Ministeri Vigilanti, i quali potranno disporre rinvio al punto di partenza; rischia altresì la cassazione di qualunque autorità giudiziaria.
LE PROPOSTE DEGLI AVVOCATI:
Dai social network, cosa ne pensiamo noi “comuni” avvocati delle riforme che ci toccheranno.
Federico B: “… non vogliono in verità i nostri soldi…vogliono che ci cancelliamo…per loro il fatto che ci siano avvocati senza reddito è qualcosa che non concepiscono….sono entrati negli anni grassi ed oggi hanno studi avviati…e ci vedono come i negozianti vedono i vu cumprà…solo che noi non siamo vù cumprà (con tutto il rispetto)…noi non siamo abusivi siamo avvocati in forza di un esame difficilissimo passato qui in Italia…non in Spagna o Romania….come fanno molti praticanti di Studi Altisonanti….”
Stefania A.: (mail inviata a Nunzio Luciano, presidente di Cassa Forense) :”Questa l’email a Nunzio Luciano (non ho reperito altri contatti della CF) “caro Presidente, La prego di tenere conto delle considerazioni giuridiche che le allego e che dimostrano come l’emanando regolamento sia anticostituzionale poichè esso collide con i Principi Costituzionali, Europei nonchè con le norme di diritto tributario e previdenziale. Quale Presidente della Cassa Forense, La prego di volere sollecitare i vertici su tali questioni e procedere alla sospensione dell’emanando regolamento, in vista di una modifica dell’art. 21 della legge n. 247/2012. Qualora, nonostante tutte le doglianze dei 56.000 iscritti che rischiano la cancellazione, e di cui mi faccio portavoce, la Cassa procederà sorda come il Governo ad emanare il regolamento, essa andrà incontro ad un contenzioso di portata vastissima. Certa che prevarrà il buonsenso, Le invio cordiali saluti. Avv. Stefania Arduini”
Stefania A.: “A mio avviso, nelle future opposizioni, ricorsi ecc che faremo, si dovrà sempre e preliminarmente chiedere AL GIUDICE NAZIONALE L’IMMEDIATA DISAPPLICAZIONE DELLA LEGGE INTERNA IN FAVORE DI QUELLA COMUNITARIA POICHE’ IN CONTRASTO CON ESSA…!”
Stefania A.: “…espongo il mio pensiero sulla gestione separata INPS: non è una valida controproposta poiché è più onerosa e non garantisce l’assistenza sanitaria come cassa previdenza!! Ne sanno qualcosa i fiscalisti (…). Invece ritengo 1) che se si ha un reddito zero o inferiore al l’importo dei contributi previdenziali di cassa forense o non congruo rispetto ad essi nulla vada versato …ciò è un principio di diritto tributario e previdenziale generale 2) se ho reddito inferiore ai limiti di legge non devo e non posso essere costretto ad aprire partita IVA che è ( presumo ) condizione per il versamento dei contributi ( e anticostituzionale) 3) deve essere garantita l’assistenza gratuita fiscale agli avvocati per ammortizzare le spese che la tenuta contabilità comporta ( es commercialisti) … “
Maria Grazia M.: “ritengo che la pregiatissima collega Arduini, che più volte è intervenuta sulla questione, abbia svelato, attraverso la sua chiave di lettura, i punti nevralgici della c.d. “controriforma”, mostrandone non solo le criticità ma proponendo le uniche alternative realmente praticabili. Perciò, in considerazione della massima competenza e professionalità con cui la tematica è stata analizzata, gli ulteriori contributi ‘ad adiuvandum’, potrebbero risultare opportuni, solo se orientati nella medesima direzione!”
Riassumo di seguito altri diversi autorevoli interventi sui temi:
– “RIFORMA PREVIDENZIALE FORENSE E DISINFORMAZIONE INTENZIONALE” Il sistema previdenziale di questo Paese, non soltanto quello dei liberi professionisti, ha radici nel cinismo di chi ha concepito le riforme non come dei momenti in cui si transita tutti insieme verso un nuovo equilibrio, ma come momenti in cui creare fratture generazionali tra titolari di sedicenti diritti acquisiti e «titolari» del solo dovere di garantirli, senza poterli a loro volta conseguire (cit. presidente giovani commercialisti).
L’attività dell’area istituzionale di Cassa Forense, nel 2014 sarà incentrata sul nuovo regolamento ex art. 21, comma 9 L. 247/2012 che dovrà essere approvato entro il 4 febbraio 2014 e comporterà l’iscrizione alla Cassa di tutti gli iscritti agli Albi forensi, salvo l’ipotesi di una loro definitiva cancellazione dagli Albi.
Per alcuni stiamo assistendo ad un piano di disinformazione da parte della dirigenza dell’avvocatura, un’azione che mira ad un risultato egoistico dove il senso dell’appartenenza viene spesso riassunto in un “siamo troppi”, dove l’ambito della solidarietà non va in genere oltre i confini della super-casta degli avvocati.”Il 75% del PIL dell’avvocatura è in mano al 10-15 % in un’Italia dove la libera concorrenza si muove su un tessuto sociale ed economico fatto di corruzione tra privati e senza gli argini della correttezza, della lealtà, della fiducia”.
– “ISCRIZIONE OBBLIGATORIA ALLA CASSA 100MILA AVVOCATI A RISCHIO CANCELLAZIONE DALL’ALBO”.
Altro messaggio subliminare che parte dal falso presupposto che un’altro sistema previdenziale non sia possibile e che i numeri di bilancio di cassa forense (sostenibilità delle attuali e future pensioni) non lasciano margini all’attività di politica amministrativa dell’ente. Occorre ricordare che ai nuovi iscritti (56mila colleghi “deportati” in CF) non è stato consentito di votare alle elezioni 2013 per il rinnovo dei delegati di cassa forense, illegittimamente come certificato dal Tribunale di Roma in composizione collegiale, su reclamo A.GI.For. (Associazione giovanile forense). Il ricorso era stato rigettato dallo stesso tribunale.
– “L’INCIDENZA SUL FATTURATO”. Il sistema non funziona; vi sono enormi iniquità generazionali.
-“CONTRIBUENTI SILENTI”. I colleghi più anziani non hanno corso alcun rischio di diventare c.d. Contribuenti Silenti, per via dell’istituto della restituzione di cui all’art. 21, comma 1, della legge n. 576 del 1980, in vigore fino al 2003, che prevedeva: “coloro che cessano dalla iscrizione alla cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione hanno diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all’articolo 10, nonché degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione…”. Non possono pensare di accendere e spegnere l’interruttore delle agevolazioni a loro piacimento.
– “CHI STABILISCE COSA”. Il compito di stabilire chi sono gli avvocati agli effetti dell’esercizio della professione compete al CNF e al Ministero di giustizia ai sensi dell’art. 21 legge 31 dicembre 2012, n 247 – Nuova disciplina del’ordinamento della professione forense – che al comma 1 precisa CON ESCLUSIONE DI OGNI RIFERIMENTO AL REDDITO PROFESSIONALE. Tale compito di certo non spetta a Cassa Forense che è una fondazione al servizio della avvocatura con il compito istituzionale di fornire previdenza e assistenza agli avvocati a prescindere dal reddito. “Ne consegue che Cassa Forense deve attrezzarsi con i propri regolamenti nei confronti di tutta l’avvocatura e quindi anche nei confronti dei circa 100 mila colleghi (56 mila nuovi iscritti e 40 mila già iscritti, morosi, al collasso economico) tutti quindi riconducibili all’area sofferenza dell’avvocatura”.
– “SISTEMA PREVIDENZIALE”. Aurelio “Elio” Di Rella (Delegato alla cassa forense dal 1994 al 2009), in un post a nome dell’associazione liberi professionisti – dipartimento nazionale avvocati, sulla questione previdenziale, ha proposto : di creare una “gestione separata” della cassa forense sul modello di quello dell’INPS prevedendo un sistema di contribuzione e di erogazioni assistenziali e previdenziali simile a quello dell’INPS, previa la verifica attuariale necessaria per rispettare i parametri normativi consentendo agli iscritti di optare in un momento successivo per il regime ordinario con i versamenti necessari a garantire la riserva matematica; aprendo così to un dibattito leale che ha coinvolto i colleghi che vuole coinvolgere anche chi occupa posizioni dirigenziali. Emanuele Spata, membro commissione OUA riforma forense in un confronto ha affermato ” alla gestione separata INPS a cui i professionisti senza Cassa sono obbligati ad iscriversi ai sensi dell’art. 2 c. 2632 della L. 3351995 sono dovuti contributi in misura pari al 27% (2013) e 28% 2014, potendo addebitare ai clienti il 4% (art. 1 comma 212 L. 66296) nel mentre alla Cassa sono dovuti contributi nella misura del 14%. Certo nella gestione separata non ci sono i minimi, ma attenzione il 28% di 10.000,00 fa 2.800,00 e nel 2018 i contributi alla gestione separata arriveranno al tetto del 33%. Meglio pensare di chiedere alla Cassa ai sensi dell’art. 21 della L. 2472012 di fissare un minimo per la assistenza a poche centinaia di euro, e far pagare i contributi nella misura solita sul reddito effettivo.”.
– “ ALIQUOTE E CONTRIBUTO MINIMO : sistemi collaudati che rappresentano un’eccellenza. La fondazione Enpaia ovvero l’ente previdenziale degli agronomi dipendenti e liberi professionisti, che adotta il contributivo puro, non ha generato debito previdenziale. E’ probabilmente la più piccola fra le Casse di previdenza dei professionisti (125mila iscritti), realizza più di una eccellenza. Ad esempio la tematica della sostenibilità a 50 anni per gli Agrotecnici è irrilevante. “In Enpaia il contributo soggettivo è stabilito in misura pari al 10% del reddito professionale netto prodotto nell’anno, quale risulta dalla relativa dichiarazione ai fini dell’Irpef, entro un determinato massimale, rivalutato annualmente in relazione alle variazioni Istat dell’indice generale dei prezzi al consumo (pari per l’anno 2013 a 99.034 euro). E’ comunque dovuto un importo minimo di 310,00euro. Oltre al contributo soggettivo obbligatorio del 10%, è concessa la facoltà di avvalersi di una maggiore aliquota-contributiva-
L’associazione liberi professionisti – dipartimento nazionale avvocati, sulla questione previdenziale, propone: di creare una “gestione separata” della cassa forense sul modello di quello dell’INPS, prevedendo un sistema di contribuzione e di erogazioni assistenziali e previdenziali simile a quello dell’INPS, previa la verifica attuariale necessaria per rispettare i parametri normativi consentendo agli iscritti di optare in un momento successivo per il regime ordinario con i versamenti necessari a garantire la riserva matematica.
Il regolamento che stabilirà il minimo contributivo dovrà essere adottato entro il 4 febbraio 2014.
Parte degli avvocati contrari alla riforma spinge quindi per fare adottare dalla Cassa il sistema della gestione separata INPS, più agevole per i giovani e i colleghi tutti in difficoltà (circa 100mila dai dati resi noti da CF).
L’AIGA associazione nazionale giovani avvocati, lo scorso ottobre 2013, in occasione del XXII congresso nazionale tenutosi a Palermo, si è dichiarata contraria alla riforma, contro chi ritiene che per risolvere il problema del grande numero di avvocati sia sufficiente far leva su queste norme che penalizzano i professionisti più “deboli”: Dario Greco ha definito “pessima” la riforma dell’ordinamento che mette all’angolo le giovani generazioni di oggi e di domani “Una legge dove la parola giovani è contenuta una sola volta per una petizione di principio – ha constatato Greco – mentre anziano, anziani e anzianità si ripetono per bene 18 volte”.
L’ex presidente dell’AIGA ha proseguito bollando come ingiusto e immorale espellere dalla categoria decine di migliaia di ragazzi che, con il loro lavoro, consentono agli studi legali di stare aperti, spesso, senza percepire un centesimo di compenso. Per evitare l’”epurazione” AIGA ha chiesto l’intervento della Cassa forense, volto ad eliminare le iniquità del sistema previdenziale. Il riferimento è anche ai pensionati che contribuiscono nella misura del 7% rispetto al 14% degli attivi pur essendo “usciti” con un sistema retributivo.
Da Palermo, Ester Perifano ha chiesto pesanti cambiamenti alla legge professionale. “È ora di spingere – dice – per la modifica della legge professionale”. Ester Perifano, segretario nazionale ANF, ha attaccato Cnf e Cassa Forense. “L’avvocatura così come siamo stati abituati a pensarla negli anni – ha affermato – oggi non esiste più: “la professione si è andata consistentemente modificando negli anni, perché altre professioni, più giovani e meno ingessate, hanno progressivamente sottratto quote rilevanti di attività, perché l’organizzazione del lavoro è rimasta ancorata a schemi obsoleti, inadatti a rispondere alle mutate esigenze della società”. Un Consiglio Nazionale Forense, ha incalzato Perifano, “incapace di fronteggiare efficacemente l’azione governativa” costretto quindi a “ripiegare su battaglie di retroguardia, pur nella consapevolezza di andare incontro ad una sconfitta sicura, prigioniero del suo ruolo di strenuo difensori di uno status quo che non esiste più da tempo”.
Il presidente di Cassa Forense Nunzio Luciano si è così espresso: . “Sono pronto a dare battaglia – afferma – a chi pensa di tagliare fuori sacche di avvocati in base al reddito. La bozza di regolamento, che abbiamo messo a punto e che dovrà essere pronta entro il 4 febbraio, a mio avviso va ancora modificata cambiando l’articolo che taglia fuori dal beneficio di un minor versamento chi ha superato i 35 anni”. [3]
Riporto di seguito le importanti considerazioni dell’avvocato Stefania Arduini:
Stefania Arduini
Avv. Stefania Arduini
BREVI CENNI SULLA ILLEGITTIMITA’ DELL’ART. 21, COMMA 8, Legge n. 247/2012
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L’articolo in discorso prevede l’obbligatorietà e l’automatica iscrizione alla Cassa previdenza forense (…), come conseguenza della sola iscrizione all’Albo degli Avvocati. Ovviamente, si tratta di una iscrizione non gratuita ma onerosa.
Orbene: numerosi sono i profili di illegittimità che colpiscono tale articolo (e molti altri ancora) della Legge n. 247/2012, poiché in contrasto evidente sia con la Costituzione, sia con il dettato normativo europeo.
Prima di entrare nel merito della vicenda, occorrerà ricordare che la Costituzione è “Fonte del diritto”, dunque, “Legge delle Leggi”, di fronte alla quale tutte le altre leggi hanno l’obbligo di osservanza.
Per converso, la con la Legge 247/2012 si assiste alla violazione dei seguenti principi fondamentali:
1) Violazione dei principi di equità contributiva:
Il sistema contributivo dell’ente privato Cassa Forense, che gestisce interessi eminentemente pubblici, contrasta con il principio dell’equità fiscale e contributiva.
Infatti, tale principio, immanente all’Ordinamento Giuridico, strutturato sul combinato disposto degli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione Italiana, delinea le caratteristiche generali del sistema contributivo che devono essere rispettate sia dagli Enti previdenziali pubblici, sia dagli Enti previdenziali privati. Questi, dunque, al pari degli altri soggetti che operano nel territorio, sono tenuti al rispetto delle leggi dello Stato ed, a fortiori, della Costituzione Italiana in forza della quale, il sistema previdenziale, anche di Enti Privati così come strutturato, deve essere tale da realizzare una giustizia fiscale (art. 3 Cost.), solidale (art. 2 Cost.), basata sul criterio della progressività (art. 53 Cost.) dell’imposizione contributiva.
A fronte delle Norme su richiamate (…) v’è l’attuazione di un sistema contributivo per mezzo dell’emanando Regolamento (di rango quindi inferiore rispetto alle Norme Costituzionali !!) della Cassa Forense che astrae da ogni considerazione sulla capacità contributiva dei singoli, laddove obbliga al pagamento di contributi (c.d. minimi) fissi ed indipendenti da situazioni reddituali (dovuti, infatti, anche in caso di reddito zero), il tutto non a fronte di future erogazioni previdenziali.
Ciò collide anche con il dettato Costituzionale dell’art. 3 secondo cui tutti cittadini sono uguali davanti alla Legge. Se così è, come in effetti è, gli Avvocati con reddito inferiore ad €. 4.800,00 conservano lo status di disoccupati e, come tali, dovrebbero ricevere il trattamento di tutti i disoccupati in Italia (ed in Europa) che non sono obbligati al versamento dei contributi previdenziali.
Inoltre, stabilire il versamento dei contributi minimi a fronte del reddito zero impone l’apertura di una partita IVA e la tenuta contabilità (sic!) laddove le norme tributarie escludono l’apertura della stessa se non si ha adeguato reddito.
2) Lesione di interesse legittimo
La nuova legge sull’Ordinamento Forense affida ai Consigli dell’Ordine il compito di operare il c.d. sfoltimento degli albi (cancellazione), che sostanzialmente si risolverà in una presumibile discriminazione quantitativa dei redditi, anche se formalmente esclusa dalla lettera della legge.
Tali azioni collidono con i principi di libertà del lavoro, di cui agli articoli 1, 4 e 35 della Costituzione Italiana, e dell’iniziativa economica e non discriminazione, di cui agli articoli 41 e 3 della Costituzione[1]oltre che con i principio di libera concorrenza previsto dall’Ordinamento europeo.
In riferimento al Diritto Comunitario, va detto che la Legge n. 247/2012, partorita dallo scellerato ed incompetente Legislatore italiano, non può che chinare il capo innanzi al principio di preferenza imposto dal diritto dell’Unione europea secondo cui, questo, prevale sul diritto interno dei suoi Stati membri.
La preminenza del diritto dell’Unione è sancita dall’articolo 10 della Convenzione Europea: “La Costituzione e il diritto adottato dalle istituzioni dell’Unione nell’esercizio delle competenze a questa attribuite hanno prevalenza sul diritto degli Stati membri”
(Convenzione di Bruxelles, art. 10-Diritto dell’Unione Europea, comma 1)
In presenza di una legge nazionale che contrasti con una norma comunitaria, pertanto, il giudice ordinario deve disapplicare la legge nazionale nel caso specifico e applicare il diritto dell’Unione, senza porre quesiti di incostituzionalità o attendere che il legislatore nazionale risolva il conflitto di giurisprudenza adeguandolo al diritto dell’Unione.
Il principio di libera concorrenza in ambito comunitario è poi richiamato dall’art. 33 comma V della Cost. che prevede l’accesso agli ordini professionali subordinato al solo previo superamento dell’esame di stato.
Ebbene la Legge n. 247/2012 vìola anche detto quadro normativo nazionale-europeo.
La cancellazione dall’albo, poi, imposta dalla Legge de qua, vìola l’interesse legittimo dell’avvocato che, dopo aver superato il concorso pubblico per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, non può vedersi negare il diritto di iscrizione all’Albo solo in forza di un “Regolamento in materia previdenziale” (sic!) che non ha la stessa cogenza della legge, dei principi Costituzionali, dei principi comunitari.
Infine, la riforma forense vìola la Legge Professionale (R.D. n. 1578/1933) che dispone il dirtto di iscrizione all’Albo degli Avvocati in caso di superamento dell’esame di Stato, nonché la facoltà dell’Avvocato di svolgere la sua professione “gratuitamente”.
Il Legislatore, infatti, troppo preoccupato di fare “Cassa” ha dimenticato che l’Avvocato svolge un ruolo istituzionale: egli garantisce l’osservanza della Costituzione e l’applicazione dell’art. 24 di essa.
Da questi principi fondamentali la Legge n. 247/2012 non può in alcun modo prescindere.”
Si ringraziano i Colleghi ed in particolare l’Avvocato Stefania Arduini per i contributi all’articolo.
PROPOSTA DI LEGGE IN PARLAMENTO: segnalo una proposta di legge, chiede le seguenti modifiche alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense.
PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
MAGORNO, BRUNO BOSSIO, D’INCECCO, FANUCCI, IACONO, OLIVERIO, ZANIN
Modifiche alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense
Presentata il 6 giugno 2013
“Onorevoli Colleghi!
Con la presente proposta di legge si intende modificare la disciplina relativa all’ordinamento della professione forense di recente approvazione, con la legge n. 247 del 2012, stante che tale legge racchiude al proprio interno tali e tanti profili di censurabilità, anche di rango costituzionale, da richiedere le necessarie modifiche ai fini dell’eliminazione delle numerose criticità in essa presenti.
In particolare, alcune norme contenute nell’articolo 21 della legge minano la libertà del «moderno» avvocato, il quale, di tal guisa, finisce con l’essere meno libero e poco indipendente, ma, ciò che più conta, è posto in una situazione di maggiore precariato economico, in riferimento alla stessa possibilità di esercitare la propria attività professionale.
Il richiamo, in tale senso, è alla previsione normativa contenuta nell’articolo 21 della legge, laddove introduce quali requisiti di permanenza nell’albo professionale i parametri della «continuità, effettività, abitualità e prevalenza», quali vere e proprie pre-condizioni legali all’esercizio della professione forense, il cui requisito primario ed essenziale è, per l’appunto, l’iscrizione al relativo albo.
La norma di legge si limita puramente e semplicemente a rinviare alla fattispecie regolamentare promanante dagli organismi direttivi nazionali dell’avvocatura e dal Ministero della giustizia per la determinazione dei parametri in funzione dei quali valutare i requisiti in parola.
Tale norma si atteggia, quindi, come norma in bianco, laddove demanda a una fonte di rango non legislativo la determinazione dei parametri de quibus, senza specificare l’ambito, i criteri valutativi e i limiti dell’intervento regolamentare, che peraltro proverrebbe non già dall’organismo governativo nel suo complesso, bensì dal singolo dicastero e dalle organizzazioni verticistiche dell’ordinamento professionale e previdenziale.
Con tale normativa sono palesemente violati i princìpi cardine della professione forense, racchiusi nello stesso codice deontologico forense, secondo i quali «l’Avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi ai princìpi della Costituzione nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’ordinamento comunitario» (preambolo al codice deontologico), e, ancora, «nell’esercizio dell’attività professionale l’avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti esterni. L’avvocato non deve tenere conto di interessi riguardanti la propria sfera personale» (articolo 10 del codice deontologico).
È difficile poter rispettare i superiori princìpi se proprio la norma contenuta nei commi 1 e 2 dell’articolo 21 impone, per la prima volta in Europa, «condizionamenti» e criteri sul modo di esercitare la professione forense, in assenza dei quali il professionista potrà essere cancellato dall’albo, con conseguente divieto di uso del titolo di avvocato e con inevitabili conseguenze anche sugli interessi dei suoi assistiti.
Se a tali rilievi si aggiunge che la permanenza nell’albo è strettamente legata all’obbligatoria iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (comma 8 dell’articolo 21) e all’ulteriore principio di continuità determinato dallo stesso ente, il rischio di vedere, da qui a pochi mesi, cancellazioni di massa dall’albo e la perdita di lavoro di migliaia di professionisti, stimati in 60.000 circa, si profila oltremodo realistico.
Peraltro, la norma in esame appare palesemente e intimamente contraddittoria, laddove, nel comma 1 si esclude ogni riferimento al reddito professionale, ai fini della determinazione della continuità professionale per la permanenza nell’albo, mentre nel comma 8 si subordina l’iscrizione agli albi alla contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con ciò introducendo un criterio economico quale condizione per l’accesso alla professione e condizionando di fatto la permanenza del professionista nell’albo alla regolare contribuzione previdenziale.
Infine, non v’è chi non veda in questo che l’articolo 21, complessivamente considerato, subordinando l’esercizio della professione a criteri di continuità, effettività, abitualità e prevalenza, e segnatamente all’iscrizione all’ente previdenziale, confligge con l’articolo 33, quinto comma, della Costituzione, il quale pone quale unica condizione per l’accesso agli ordini professionali il superamento dell’esame di Stato.
Infine, l’avvocato, proprio in considerazione dell’importante funzione che svolge e al fine di un’effettiva, ampia e imparziale difesa del cittadino, deve essere libero e indipendente e non soggiogato dai propri rappresentanti attraverso parametri di natura squisitamente politica, peraltro attualmente oscuri, risultando anche in contrasto con i princìpi dell’Unione europea di libera concorrenza.
E, ancora, la modifica della legge in esame deve estendersi anche ad altre sue norme che limitano l’esercizio della professione ad alcune categorie di professionisti.
Per vero, l’articolo 22, comma 2, deve essere modificato nella parte in cui prevede che l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio alle giurisdizioni superiori possa essere richiesta da chi abbia maturato una iscrizione all’albo di otto anni e abbia frequentato proficuamente e lodevolmente la Scuola superiore dell’avvocatura istituita dal Consiglio nazionale forense (CNF), il cui regolamento può prevedere specifici criteri di modalità e di selezione.
La norma, a parte essere indeterminata nel punto in cui rimette interamente al regolamento del CNF la determinazione dei criteri e delle modalità selettivi, comporta una severa discriminazione intergenerazionale.
Difatti, da un lato richiede la frequentazione della Scuola superiore dell’avvocatura istituita con regolamento del CNF, che risulterebbe così composto proprio da avvocati cassazionisti che quindi deciderebbero i loro concorrenti nelle giurisdizioni superiori, oltre all’indebita selezione della componente dell’organismo forense stesso, dall’altro lascia immutato lo status di avvocato cassazionista per coloro che hanno già conseguito il titolo prima dell’entrata in vigore della legge professionale.
In ordine, poi, all’articolo 41, comma 12, va segnalato come rappresenti una grave limitazione per i giovani praticanti iscritti al relativo registro dover esercitare l’attività professionale solo in sostituzione del titolare di studio presso cui svolgono il tirocinio professionale, anche se si tratti di affari non trattati dal medesimo.
Appare opportuno, anche al fine di tutelare il lavoro dei giovani praticanti avvocati, abilitati al patrocinio, secondo la vecchia normativa forense, consentire il patrocinio autonomo nelle cause di loro competenza per come in precedenza prescritto.
Inoltre, in ordine all’esame di Stato regolamentato con l’articolo 46, comma 7, è evidente la necessità di sottoporre a revisione critica il comma nella parte in cui stabilisce che le prove scritte si svolgano con l’ausilio dei soli testi di legge, senza citazioni giurisprudenziali, considerando che da oltre un decennio l’esame di avvocato comporta il dover affrontare tre prove scritte, la soluzione delle quali avviene attraverso il richiamo di precedenti giurisprudenziali, soprattutto recenti, i cui riferimenti è impossibile memorizzare senza l’ausilio di un codice annotato.
La norma in esame non tiene neppure in considerazione l’esperienza pratico-giurisprudenziale e l’impostazione del tirocinio professionale, che vedono i principali attori del processo utilizzare e conformarsi alle massime giurisprudenziali, soprattutto a quelle di legittimità.
Infine, desta allarme la previsione di una nuova fattispecie penale, generica e indeterminata, prevista e punita dal comma 10 dell’articolo 46 con la sanzione della reclusione fino a tre anni, che richiama condotte e comportamenti che possono trovare soluzione in altri ambiti giudiziari o disciplinari.
In conclusione, la logica che ispira tale normativa, della quale si auspicano le modifiche richieste, è quella di creare in capo a pochi studi legali, in grado di produrre alti fatturati, una situazione di monopolio di fatto dei servizi legali e di assistenza giudiziaria, scoraggiando la concorrenza e, in particolar modo, le giovani generazioni di professionisti, con grave compromissione delle regole del libero mercato e, quindi, di una più ampia offerta dei servizi legali e di assistenza al cittadino, nonché delle garanzie e dell’effettività di tutela dei diritti, delle libertà e della dignità della persona.”
“PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifiche alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense).
1. Alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 15, comma 1, lettera e), le parole: «ed inoltre degli avvocati cancellati per mancanza dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione» sono soppresse;
b) all’articolo 17, comma 9, la lettera c) è abrogata;
c) l’articolo 21 è abrogato;
d) all’articolo 22, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Gli avvocati per essere ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre magistrature superiori devono essere iscritti a un albo speciale, tenuto dal CNF. Gli avvocati che aspirano all’iscrizione all’albo speciale devono farne domanda al CNF, dopo aver maturato dodici anni di iscrizione all’albo e dimostrato di aver esercitato anche davanti alle corti d’appello e ai tribunali»;
e) all’articolo 29, comma 1, la lettera g) è abrogata;
f) all’articolo 41, comma 12:
1) le parole: «decorsi sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «decorso un anno»;
2) le parole: «in sostituzione dell’avvocato presso il quale svolge la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo,» sono soppresse;
g) all’articolo 46:
1) al comma 7, le parole: «Le prove scritte si svolgono con il solo ausilio dei testi di legge senza commenti e citazioni giurisprudenziali» sono sostituite dalle seguenti: «Le prove scritte si svolgono con l’ausilio dei testi di legge annotati con la giurisprudenza di riferimento»;
2) il comma 10 è abrogato.
Art. 2.
(Entrata in vigore).
1. Le disposizioni di cui alla presente legge entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della medesima legge nella Gazzetta Ufficiale.
Presentata il 6 giugno 2013”
Fonte: CAMERA DEI DEPUTATI
Altre fonti:
[1] Isidoro Trovato, Corriere della Sera; (rassegna stampa Metaping.it)
[2] Barbara LG Sordi : Avvocati: nuovi poveri per legge? (StudioCataldi.it)
[3] Luigi Berliri, Non vogliamo essere messi all’angolo (Mondoprofessionisti.it)
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