Crisi governo, ecco le possibilità aperte. Da Monti parole di congedo

Crisi di governo? Sì, no, forse. Il colpo di mano di questa mattina in Senato da parte del Pdl lascia aperti diversi scenari politico-istituzionali, che possono avere esiti molto diversi. Indubbiamente, da oggi nulla sarà più come prima per la truppa di Mario Monti, fino a oggi protagonista di una traversata tutto sommato tranquilla nelle aule parlamentari.

Tanto per cominciare, va precisato che non ci troviamo ancora in uno stato di crisi formale: la decisione dei senatori Pdl di astenersi sulla questione di fiducia inerente il decreto sviluppo-bis rappresenta, per ora, poco più che un avvertimento.

Eppure, tra i banchi del governo l’allarme è risuonato forte e chiaro: per la prima volta dopo il suo insediamento nel novembre 2011, Mario Monti e la sua squadra si sentono davvero in bilico.

Il fatto che a non votare la fiducia sia stato il gruppo più numeroso a palazzo Madama, rappresentativo della forza politica più folta anche alla Camera, mette ancor più a rischio la tenuta dell’esecutivo di qui in avanti.

Dunque, ora che succede? Di fronte a Mario Monti non sono aperte molte possibilità: prima tra tutte, e c’è da credere che il premier vi presterà fede, quella di recarsi al Quirinale a riferire al Capo dello Stato.

Si tratta, in realtà, più di una prassi istituzionale che di un vero e proprio passo politico, una ritualità che, in casi simili, è d’uopo rispettare per riconoscere l’autorità suprema del Capo dello Stato in caso di tensione parlamentare.

A lui, al Presidente Napolitano, spetterà infatti la decisione finale in caso di ufficializzazione della crisi. Anche qui, il ventaglio delle opzioni non è particolarmente ampio.

In prima analisi, il Presidente della Repubblica potrebbe rimandare Mario Monti e i suoi ministri a chiedere la fiducia alle Camere, per verificare la residua sussistenza, o meno, di una maggioranza effettiva in grado di supportare l’azione di governo.

Questo è l’interrogativo principale: come va considerata la scelta del Pdl di astenersi dalla votazione, pur garantendo la presenza in aula per non mettere in pericolo il numero legale? Un segnale, o forse i prodromi di un abbandono della carovana, in vista delle elezioni politiche?

Se davvero i parlamentari pidiellini vorranno andare fino in fondo, facendo mancare la maggioranza alle Camere di fronte al redde rationem che potrebbe invocare il governo, allora Monti sarà costretto a ritornare ancora una volta al Quirinale, probabilmente, stavolta, con in mano le dimissioni.

In questo caso, il presidente della Repubblica finirebbe per consultare i rappresentanti dei vari gruppi parlamentari e, nel caso i numeri confermino che la maggioranza è del tutto svanita, resterebbe solo una scelta: quella di sciogliere le Camere e indire le elezioni anticipate, anche se di poche settimane rispetto al calendario prestabilito.

Difficile, infatti, che i partiti chiedano rimpasti di governo o qualche cambio di rotta alle politiche intraprese, a tre mesi dalla scadenza della legislatura. L’unica chance, in questo senso, potrebbe essere la sostituzione del ministro Passera, colpevole,a  detta del Pdl, delle affermazioni contrarie alle voci di una ri-candidatura di Silvio Berlusconi. E’ questa, infatti, la ragione principale dell’ansia nei palazzi romani, per quella che, va riconosciuto, non è stata certo una gran scelta di tempo da parte dell’ex amministratore delegato di Banca Intesa.

Dell’aria pesante intorno al governo ne sembra più che consapevole lo stesso presidente del Consiglio, il quale intervenendo in video al congresso Pde a Bruxelles, sembra quasi voler trarre un bilancio di fine mandato: “Abbiamo lavorato sodo non solo in Italia per evitare che si propagassero nuovi incendi all’Eurozona. In buona misura – ha spiegato il premier – ci siamo riusciti“.

 

Francesco Maltoni

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