Le annunciate dimissioni di Mario Monti ne sono la riprova più tangibile: è ufficialmente finita la parentesi dei professori “super partes”. Dunque, il chiodo fisso sia a livello delle istituzioni, che nel corpo elettorale è uno soltanto, e cioè quando si terranno le elezioni politiche che rinnoveranno il Parlamento per i prossimi cinque anni.
Nelle ore che hanno accompagnato la doppia astensione dei gruppi Pdl a Senato e Camera, prima sul decreto sviluppo bis, poi sul provvedimento che taglia i costi alla politica negli enti locali, la data più in voga era il 10 marzo.
Ma il coup de théâtre del presidente del Consiglio, che sabato ha spiegato al Capo dello Stato la sua intenzione di recedere dall’incarico di guidare il governo, ha improvvisamente ribaltato il quadro. Una mossa pienamente politica, di cui tutti gli osservatori si sono accorti con stupore.
Da quel preciso momento, il borsino della data elettorale ha iniziato a puntare forte su una data antecedente al 10 marzo, forse già in una domenica di febbraio. Come spiegato sia dallo stesso Monti che dal Popolo della Libertà, prima aprire ufficialmente la campagna elettorale resta però da approvare in via definitiva la legge di stabilità per il prossimo biennio. Un passo imprescindibile che neanche i più forti pruriti elettorali possono evitare e che mette il Parlamento in obbligo di agire a tappe forzate.
Intanto, cominciamo col ricordare che, in base all‘articolo 61 della Costituzione, le elezioni non devono tenersi oltre il 70esimo giorno dallo scioglimento delle Camere e, contestualmente, entro il 45esimo dall’apertura ufficiale dei comizi. Per entrambi gli step, servirà un apposito decreto del Presidente della Repubblica, previo accordo in Consiglio dei ministri.
Dunque, pensare al 10 marzo, o, secondo gli ultimissimi sviluppi, a qualche possibilità ancora antecedente, significa avere già i tempi ridottissimi per avviare l’iter elettorale.
Se si votasse proprio il 10 marzo, tra il 30 dicembre e il 24 gennaio dovrebbero essere ufficiali tanto lo scioglimento delle Camere, quanto l’apertura della campagna.
Questo, almeno, secondo la road map che aveva probabilmente ipotizzato Berlusconi al momento dello “strappo”. Se invece, come sembra, dopo l’outing montiano, si andrà a votare già nelle settimane di Carnevale, allora a dettare i ritmi già indiavolati sarà nient’altro che la legge di stabilità.
Dopo il primo sì alla Camera, dove ha già incontrato ampie modifiche, la norma di bilancio è in calendario al Senato per il 18 dicembre. In quella sede, potrebbe andare incontro a un’approvazione flash, che la rispedirebbe ancora a Montecitorio, in vista di un sì definitivo entro Natale.
Ragion per cui, alcuni si sono sbilanciati per una conclusione della legislatura nei giorni del 20 o del 21 dicembre, proprio in simultanea alla conversione in legge delle misure finanziarie.
Date, queste, che non sarebbero sufficienti a fissare la data delle urne il 3 febbraio, giorno in cui si terranno anche le elezioni regionali del Lazio, per cui servirebbe il “rompete le righe” parlamentare, secondo i tempi di legge, entro il 18 dicembre: decisamente troppo presto.
Ecco perché sono in netto rialzo le quotazioni del 10, 17 e 24 febbraio 2013 come possibili election day. Nello specifico, per votare il 10 febbraio le Camere andrebbero sciolte entro il 25 dicembre, mentre, per il 17, la settimana in più concederebbe alle Camere la sopravvivenza fino al 2 gennaio, o anche al 9 in caso di urne aperte il 24 febbraio.
Tutte eventualità, queste, che si sincronizzano alla perfezione con i tempi prefissati per l’esame alla legge di stabilità. Su tutti gli altri decreti, incluso il taglio delle Province, le speranze sono ormai ridotte al lumicino: se ne riparlerà dopo le elezioni. E chissà che non sia lo stesso Mario Monti a occuparsene di nuovo.
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