Crisi di governo, voto di fiducia in Senato: il discorso completo di Letta

Redazione 02/10/13
Questa mattina alle 9:30 il presidente del Consiglio Enrico Letta ha tenuto un discorso in Senato per chiedere la fiducia dopo lo strappo di Berlusconi.

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Discorso al Senato per fiducia di Enrico Letta

Nella vita delle nazioni l’errore di non saper cogliere l’attimo può essere irreparabile. Sono le parole di Luigi Einaudi quelle che richiamo qui oggi per venire al cuore della questione. L’Italia corre un rischio fatale, cogliere o non cogliere l’attimo per sventare questo rischio, dipende da noi, dalle scelte che assumeremo, da un sì o da un no.

C’è un monito solenne che qui voglio ricordare. Poco più di cinque mesi fa il presidente Napolitano (applausi dell’aula di Palazzo Madama, ndr) invitava le Camere alla coesione nazionale e tutti coloro che lo avevano eletto per la seconda volta a uno scatto di dignità.

Quel monito fu accolto dal plauso dei presenti di queste aule. Nei mesi successivi quel monito ha visto l’impegno delle forze di governo per costruire soluzioni ai problemi delle persone, per ridare fiducia alla politica, per riformare l’Italia e la politica stessa. 

I componenti del governo hanno dato prova di lealtà pur consapevoli dello spazio ristretto in cui ci si muoveva per costruire insieme politiche efficaci senza rinunciare alla propria storia politica. Abbiamo fatto passi avanti impensabili fino a pochi mesi fa. Ci siamo confrontati sull’interesse generale degli italiani che ci urlano che non ne possono più delle scene da sangue e arena.

Cambia se vogliamo che cambia. Cambia se siamo solidi al punto da non temere che l’incontro con l’avversario sporchi la nostra reputazione. Solo chi ha un’indentità debole teme il confronto con le idee altrui.

Io stesso lavorando gomito a gomito con ministri di altri partiti sono in grado di apprezzare la passione che alberga in tutti i settori della politica italiana.

Con oggi ho risposto dell’operato del governo in Parlamento 15 volte in 150 giorni. Ho introdotto il question time per la prima volta in Senato perché questo è il luogo della sovranità popolare. Il rispetto e l’amore per le istituzioni è costitutivo della mia storia personale e politica. Il mio governo è nato in Parlamento e se deve morire, deve farlo in Parlamento. 

La vita del governo, la decadenza di Berlusconi si sono sovrapposte in un crescendo che è culminato giovedì scorso nelle dimissioni dei Parlamentari del Pdl mentre intervenivo all’Onu. Una settimana fa si è creata una situazione insostenibile. Oggi sono qui per dividere i due piani: la vita del governo e le vicende giudiziarie di Berlusconi.

In uno stato democratico le sentenze si applicano fermo restando il diritto di una difesa efficace senza leggi ad personam. Onorevoli senatori, questo governo in particolare può continuare a vivere solo se convincente nell’attuazione del programma, in un vero e proprio patto, con la prospettiva focalizzata sui problemi della gente. Il resto non porta a nulla di buono e sano.

Più volte mi avete ascoltato tessere l’elogio della stabilità, valore assoluto da alimentare ora dopo ora, messa adesso a repentaglio.

I benefici della stabilità dal dopoguerra sono noti a tutti. Poi, tra il 1968 e il 1992 si sono succeduti 24 governi. La crescita è rallentata. Il consenso elettorale acquisito allargando i cordoni della borsa dello stato ha raddoppiato il debito pubblico. Dal 1992 a oggi si sono avvicendati 14 governi. In Germania, nello stesso periodo, ci sono stati solo 3 cancellieri. Un altro spread che pesa in confronto con le grandi democrazie europee.

I frutti di una nuova democrazia sono possibili solo con governi stabili. Oggi manca il coraggio perché ai primi costi il governo viene mandato a casa, “tutti alle urne”. Questa è una delle ragioni che spiega l’impennata del debito pubblico. Dietro manca la politica. C’è l’ossessione del consenso qui e subito.

Una crisi oggi significherebbe posticipare le politiche necessarie per uscire dalla crisi. Porterebbe l’Italia sul banco degli imputati in Europa, “Italia eterna incompiuta”. Significherebbe rinunciare alla riforma delle politiche e delle istituzioni. Oggi, in poco tempo, possiamo riformare davvero la politica. I provvedimenti del governo solo all’esame del Parlamento. Se rapidamente discussi e approvati sarebbero una nuova strada. Il tempo d’attesa è scaduto.

Le elezioni consegnerebbero il paese per l’ennesima volta all’ingovernabilità e ci ritroveremmo, per uscire, alle larghe intese. Le prossime elezioni non produrrebbero una chiara maggioranza. 

In questi cinque mesi il comitato dei saggi ha portato a termine un impianto di riforma delle istituzioni. Nessun golpe. Nessun attentato alla Costituzione. Cambiamenti di rotta per cambiare la democrazia italiana. 

Oggi siamo nelle condizioni di chiudere in anticipo e di completare il percorso di riforma in 12 mesi da oggi. Possiamo ricostruire il paese e scrivere una nuova storia e mettere chi vince nelle condizioni di governare davvero, fuori dalle polemiche.

Il governo intende sostenere il percorso parlamentare in atto al Senato di modifica dell’attuale legge elettorale per evitare il rischio di tornare al voto con l’attuale legge.

Che ce la possiamo fare l’ho detto e ridetto all’infinito a tutti. Vale per la riforma delle istituzioni, per l’economia e per la società. Abbiamo alle spalle un incubo, una recessione senza precedenti. Una recessione che segue il decennio perduto: abbiamo perso un milione di posti di lavoro e 8 punti percentuali di Pil. Un cataclisma che ha portato disperazione alle famiglie italiane. E’ a loro che dobbiamo rendere conto.

Per evitare tutto ciò, tra pochi giorni, possiamo fare una nuova politica incentrata sul taglio delle tasse ai lavoratori.

Il nostro obiettivo è un aumento del Pil dell’1% per quest’anno e del 2% per quelli successivi. La nostra priorità è dimostrare che il cambiamento è in atto. Tutto ciò insieme al risanamento delle casse statali: a fine giugno siamo usciti dalla procedura di infrazione dell’Ue.

Siamo stati tutt’altro che il governo del rinvio: proprio oggi il Sole 24 ore ha un inserto dedicato ai lavori per la casa, le infrastrutture. Delle cose fatte e da fare. E’ la dimostrazione che chi parla del governo del rinvio mente, in cinque mesi abbiamo rilanciato l’economia e le attività del nostro paese. 

Invito alla serietà: i problemi li abbiamo affrontati in questi mesi. Penso alla Cassa integrazione, al piano casa, alla legge contro il femminicidio, alla cultura, allo sblocco dei cantieri, agli ecobonus, alla defiscalizzazione del lavoro per i giovani. 

Proprio perché non vogliamo nuove tasse intendiamo mettere il livello complessivo della spesa pubblica al centro delle politiche del 2014. Vorrei che questo passaggio fosse chiaro: non esistono tagli di spesa facili a meno che non si intenda procedere a tagli lineare. Se otterremo la fiducia adotteremo un commissario per la spending review per tutelare le fasce più deboli della popolazione.

In questo 2013 abbiamo ridotto la spesa pubblica per 1200 milioni. In questi cinque mesi ho rappresentato l’Italia in quattro vertici interazionali, un G8, un G20 e due consigli europei. Tre su quattro hanno avuto al centro la lotta ai paradisi fiscali: il cerchio si sta stringendo interno ai paesi e alle banche. E’ in corso una svolta storica per consentire all’Italia di riappropriarsi di risorse che abbattano il deficit.

Questi cinque mesi governo hanno determinato un primo sollievo fiscale per gli italiani. A chi polemizza sul tema del fisco ricordo che grazie al nostro governo gli italiani hanno pagato 3 miliardi di euro di tasse in meno. E con la legge di stabilità punteremo a una riduzione del carico fiscale sul costo del lavoro, sia a carico del datore di lavoro che del lavoratore. Più soldi in busta paga per il dipendente, più sgravi per il datore di lavoro.

E’ indispensabile sotto il profilo quantitativo e qualitativo gli strumenti di sostegno per la popolazione: centri per l’impiego, contrasto alla povertà. Non c’è niente di più necessario che mettere in moto strumenti concreti per evitare che la disperazione dei cittadini si trasformi in rabbia e conflitto.

In questi primi cinque mesi abbiamo puntato, per il Sud, sulla scuola, la cultura (il grande piano per Pompei), sul territorio. Abbiamo inserito l’obiettivo Mezzogiorno. Dobbiamo lavorare per garantire la continuità territoriale per la Sardegna. Lo sblocca cantieri ha fatto ripartire le autostrade, la Tav, le metropolitane. Al sud, peggiore della rabbia, è la disillusione.

Il nostro futuro in Europa e nel mondo dipende dal rispetto delle promesse e dal raggiungimento degli obiettivi. 

Nel 2014, unica volta in questo decennio, l’Italia assumerà la presidenza del Consiglio europeo. Le parole crescita e lavoro saranno al centro del nostro semestre. Primo semestre della nuova legislatura 2014-2019. Dovrà essere la legislatura della crescita. Porteremo al centro dell’attenzione continentale – partendo dall’appello di Papa Francesco a Lampedusa – sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza.

Abbiamo il diritto di sognare gli Stati uniti d’Europa per noi e i nostri figli. Ma non è tempo solo di sogni. La battaglia dei prossimi 15 anni si gioca oggi. Abbiamo un’agenda ambiziosa per il 2014 sulla rotta Italia-Europa.

Possiamo chiuderci nel nostro cortile o giocare all’attacco impegnando tutte le nostre carte sull’unione dei popoli europei. La nostra prova arriva adesso. Dimostriamo all’Europa intera, con il nostro semestre, che non a caso l’Europa è nato dal trattato firmato a Roma.

Il paese è stremato da mille conflitti di una politica ridotta a cannoneggiamenti. Una politica rissosa, immobile, sorda agli interessi degli italiani. Ma ora possiamo dire basta. L’appello all’aula: basta con la politica da trincea. Concentriamoci sulle risposte da dare al paese. Le risposte che si attendono le donne, le risposte in materia di ambiente, contrasto alle mafie, presidio della legalità e dell’ordine pubblico. Risposte che passano per investimenti in scuola, cultura, ricerca, università.

Vi chiedo coraggio e fiducia. Dateci fiducia per realizzare questi obiettivi, per ciò che si è fatto in questi mesi, una fiducia che non è contro qualcuno ma è per l’Italia. 

L’11 marzo 1948 Benedetto Croce parlò in assemblea con queste parole che io oggi rivolgo a ognuno di voi: “Ciascuno di noi ora si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non preparasi col suo voto poco meditato un pungente rimorso”. 

Redazione

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