In primo luogo, i media e la stessa politica stanno dando un risalto notevolissimo, ancora a distanza di giorni, ad un evento che dovrebbe essere del tutto normale e scontato: una serie di controlli fiscali – nemmeno a tappeto – in una località dove è ovvio e scontato che possano nascondersi sacche rilevanti di evasione. In nessun altro posto del mondo un fatto simile potrebbe costituire una “notizia” da giornale. Si afferma che se un cane morde un uomo non c’è notizia; al contrario,lo scoop si verifica quando è l’uomo che morde il cane. In Italia siamo talmente abituati a non vedere mai controlli fiscali, pattuglie della Polizia stradale sulle autostrade, agenti di quartiere e così via, che ci appare, paradossalmente, un evento qualcosa di assolutamente normale e doveroso: un semplice controllo fiscale sulle ricchezze in un posto di turismo di lusso. Dovremmo stupirci e fare scoop ogni giorno del contrario, chiederci, ovvero, perché i controlli non siano quotidiani, diffusi, pignoli in ogni parte del territorio. “Fa notizia”, al contrario, l’espletamento di un dovere.
Altro elemento paradossale è la polemica nata dall’iniziativa dell’Agenzia delle entrate, tacciata da più parti di “spettacolarizzazione”. Non si vuole entrare in questa sede in valutazioni rispetto alle posizioni di chi, nascondendosi dietro la critica ai “modi” con i quali l’Agenzia ha svolto i controlli, ancora una volta, l’ennesima di troppo, ha fatto l’occhiolino a quella parte nemmeno troppo piccola della società che le tasse non le ha mai pagate né tuttora ha l’intenzione di pagarle. Non potendosi affermare apertamente, nel contesto attuale, che è giusto evadere le tasse (affermazione che, tuttavia, nel passato è stata pronunciata più di una volta…), allora il disappunto per un’iniziativa giusta, corretta e doverosa, lo si edulcora criticando il metodo da “stato di polizia tributaria”. Anche in questo caso si assiste all’inversione della realtà delle cose. Cioè, si critica nel metodo l’iniziativa dell’Agenzia delle entrate, per nella realtà disapprovare il merito della sua azione, stigmatizzando la “spettacolarità” e la “gogna mediatica” attivata. E’, invece, giustificabile che da anni, decenni, si accetti l’ostentazione voluta, esibita, irriverente e spudorata degli evasori, i quali possono spettacolarizzare i loro Suv, gioielli, suite d’albergo, pranzi e cene luculliani, come nelle becere trasmissioni alla “Lucignolo”. Per anni abbiamo sopportato l’invasione, nei media, di questo sfoggio, senza mai chiederci fino in fondo se chi ha queste possibilità contribuisce al benessere complessivo del Paese.
Non si tratta affatto dell’invidia sociale o della condanna della ricchezza. Ben venga chi possiede ricchezze e denari: la sua capacità di spesa contribuisce alla crescita del Pil e dell’economia. Ma chi dispone di simili possibilità non può e non deve coprire il Suv con la cortina fumogena della dichiarazione di uno stipendio da precario.
In terzo luogo, la vicenda di Cortina ci insegna che il principio di divisione tra politica e gestione, insomma la valorizzazione dell’autonomia operativa di cui deve disporre l’apparato amministrativo rispetto alle pulsioni degli organi di governo, è un valore irrinunciabile che dovrebbe essere ulteriormente potenziato e rafforzato.
Se la politica potesse influire come vorrebbe sulla gestione, casi come quello di Cortina non si sarebbero verificati e non si saprebbe mai nulla. Il politico non vuole toccare la suscettibilità sia dell’elettore, sia del potente e ricco. L’azione dell’Agenzia delle entrate è risultata a molti indigesta, proprio perché è, in fondo, l’affermazione di autonomia di una branca della pubblica amministrazione che è stata capace, per una volta, di agire con autonomia e coraggio (in questo senso, probabilmente spinta dall’aria nuova che comunque l’attuale Governo sta cercando di fare entrare nelle stanze governative), nell’interesse collettivo di tutti.
Immaginiamo, se la politica coincidesse davvero con le idee enunciate dal sindaco di Cortina, come potrebbero andare le cose. Nessun controllo fiscale mai; permessi di costruire senza limiti; commerci disciplinati dal più influente. Molte regioni, compreso il Veneto, hanno assegnato alle province delle quali il legislatore intende sbarazzarsi, il compito di classificare gli alberghi: pensate in un’Italia-Cortina come verrebbe rilevata la qualità delle strutture ricettive se a provvedere fossero i comuni, così deboli e proni rispetto alla “clientela”.
Nell’ultimo ventennio è passata l’idea devastante che la riduzione dell’impatto della pubblica amministrazione nei confronti del benessere della società dovesse passare attraverso l’eliminazione dei controlli, considerati quanto di più beceramente burocratico potesse esistere. Tanto è vero che nel mondo delle regioni e degli enti locali si è fatta piazza pulita dei controlli preventivi di legittimità.
Solo adesso, quando la casa brucia, ci si sta rendendo conto che la “burocrazia” consiste nella richiesta di certificati inutili, nonché nell’attivazione di procedure finalizzate a consentire o autorizzare preventivamente attività di impresa, mediante l’acquisizione di carte e dichiarazioni sostanzialmente inutili a garantire una reale concorrenza e l’efficienza operativa.
La pubblica amministrazione potrebbe incrementare esponenzialmente la propria efficacia se si stabilisse una volta e per sempre un principio semplicissimo: il cittadino o l’impresa per avviare un’attività dichiara di possedere i requisiti. Il patto sociale con lo Stato impone che questo, mediante le sue strutture o gli enti locali per le loro competenze effettui, poi, controlli diffusi e capillari, volti a verificare con precisione microscopica tutti gli aspetti connessi all’attività svolta. In primo luogo, quelli fiscali e contributivi.
Dovrebbe essere normale, scontato, privo di interesse, che l’amministrazione delle entrate sia presente in ogni bar, ristorante, albergo, tabaccheria, negozio, capannone, cantiere, impianto, per verificare puntigliosamente l’emissione della fattura o dello scontrino.
I mali del Paese sono certamente legati all’eccessivo debito pubblico e all’andamento dei tassi di interesse per restituire il prestito. Siamo troppo dipendenti dagli umori dei mercati, le cui lune possono far oscillare anche di poco i tassi e, dunque, mettere in crisi il sistema, anche se l’Italia sovente chiude i bilanci con un “avanzo primario”, cioè con un saldo di entrate superiore alle uscite non contando la spesa appunto per interessi.
Tuttavia, l’Italia non produce abbastanza “reddito”, cioè non ha entrate sufficienti per coprirsi dagli umori dei mercati. Occorrono manovre tali da garantire che la spesa non sia divorata dall’emorragia della restituzione degli interessi sul debito. A questo scopo, è possibile e doveroso tentare di riqualificare la spesa pubblica, riducendone il volume e migliorandone la qualità. In questo modo, altre risorse si libererebbero, così da rassicurare i mercati sulla capacità del bilancio statale di fare fronte ai debiti.
Manovre come queste, tuttavia, lasciano segni profondissimi nella società: lo si è visto con la riforma delle pensioni, che impone di lavorare più a lungo, per percepire pensioni più basse.
Le liberalizzazioni e privatizzazioni possono essere un altro strumento, ma anch’esso non sarà senza dolori. Intanto, i benefici di interventi sul mercato e sulla concorrenza si producono a scadenza molto più lunga di una riforma delle pensioni. In secondo luogo, se si privatizzano i servizi pubblici (gas, luce, trasporti) il passaggio da un bilancio pubblico attento ai costi sociali, a bilanci del tutto privati, che puntano sul profitto, può generare maggiori costi, per remunerare interamente i fattori di produzione. L’abbassamento dei prezzi può verificarsi molti anni dopo: è successo esattamente questo con la telefonia e, in parte, nell’ambito del trasporto aereo. Dunque, ai sacrifici dovuti all’inasprimento della pressione fiscale e alla manovra pensionistica, nei primi tempi si aggiungeranno i maggiori costi delle liberalizzazioni.
Nel frattempo, se quanto accaduto a Cortina non diviene presto sistematico e “normale”, l’Italia continuerà a soffrire molto, perché è un Paese con circa 60 milioni di abitanti che regge un sistema industriale avanzatissimo e rende servizi ad una popolazione molto diversificata, ma con entrate da Paese di 30 milioni di abitanti.
La Reuters Italia lo scorso dicembre ha diffuso i dati sulle entrate fiscali del 2011, che si attestano circa a 370 milioni di euro. Secondo le stime della Corte dei conti (relazione del Presidente Giampaolino al Parlamento del 16 novembre 2011) l’evasione fiscale ormai ha raggiunto un livello pari al 18% del Pil (stimato in 1.970 miliardi di euro), cioè circa 350 miliardi di euro all’anno. Il che significa mancati introiti per oltre 150 miliardi di euro all’anno, che è il 60% dei titoli, ma anche circa la metà delle entrate tributarie effettivamente riscosse.
Non ci vuole, allora, un genio per capire che si potranno fare tutte le riforme alle pensioni, al mercato del lavoro, attivare tutte le liberalizzazioni, modernizzare quanto è necessario il Paese e l’amministrazione, ma se non si pone rimedio agli effetti destabilizzanti dell’evasione non si riuscirà mai realmente a mettere un punto fermo alla crisi dei conti pubblici.
Recuperare i 150 miliardi l’anno di mancate entrate fiscali significa far rientrare nel consorzio civile quei 30 milioni di italiani che sono cittadini solo di nome, ma non di fatto perché non contribuiscono per nulla alle spese del Paese, pur fruendo dei servizi che rende, magari lamentandosi del livello della loro efficienza.
A questo scopo, i controlli sono sacrosanti, spettacolari o meno che si rivelino. Si vuole rendere efficiente l’amministrazione ed incentivare verso i risultati i dipendenti? Perché non immaginare un piano straordinario che coinvolga tutti i dipendenti pubblici in un’operazione per stanare ad ogni livello le sacche di evasione? Sarebbe uno scatto d’orgoglio degno dell’Italia. Quello stesso Paese nel quale, invece, oggi si pensa che l’incentivo per il recupero dell’evasione Ici rientri nei tetti di spesa del personale dei comuni, o nel quale i controlli a Cortina d’Ampezzo costituiscano un “evento mediatico”.
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