Nel 2011 la Corte dei Conti constata una riduzione nel livello di adeguamento ai dettami del Patto di Stabilità sia in relazione al numero degli Enti che al saldo complessivo, ma in maniera diversificata: molti i Comuni inadempienti, a fronte di una sola Provincia.
Buoni, come si diceva, i risultati conseguiti in termini di spesa corrente: ha avuto successo la riduzione delle spese per il personale e per il funzionamento, il che ha determinato, rispetto al 2009, un contenimento della crescita della spesa nei Comuni (+ 2,03%) ed una diminuzione per le Province (- 1,63%) e per le Comunità montane (- 4,48%). Riduzioni che, sottolinea la Corte, sarebbero state ancora più marcate in assenza della “spinta delle spese per prestazione di servizi”.
A preoccupare è il settore degli investimenti degli Enti locali. Se nelle programmazioni di bilancio i Comuni prevedevano 62,5 miliardi di euro di entrate, ne realizzavano poi solo poco più di 19 miliardi: di questi, solo 13,9 venivano destinati agli investimenti. Lo stesso trend si ripete per le Province (previsioni per 8,2 miliardi, accertamenti effettivi per 2,8 ed investimenti per 2,5) e, per volumi notevolmente inferiori, per le Comunità montane.
Il debito pubblico complessivo dei Comuni, nel 2010, si attesta intorno ai 62 miliardi (904,46 euro pro capite), quello delle Province a 11,8 miliardi di euro (196,24 euro pro capite). L’andamento del debito si presenta sostanzialmente invariato rispetto al 2009 e con aspetti favorevoli di sostenibilità in relazione alle entrate correnti ed agli interessi passivi. Considerando tuttavia il costo complessivo del debito (interessi più quota capitale), la Corte dei Conti rileva che i due terzi dei Comuni e diverse Province non riescono a fronteggiarlo con la semplice gestione ordinaria. In buona parte di queste situazioni, infatti, gli Enti locali ricorrono (verrebbe da dire “giocoforza”) ad una “anomalia” più volte stigmatizzata dalla Corte, e cioè “finanziando buona parte dell’onere, che è di natura certa e di lunga durata, con il ricorso a risorse di natura straordinaria (non strutturali) che, per definizione, hanno caratteri opposti (avanzi di amministrazione generati per lo più da positiva revisione dei residui, cosiddetti oneri di urbanizzazione, plusvalenze nelle vendite immobiliari, ecc.)”. Secondo la Corte, tuttavia, nonostante il ricorso a tali misure contingenti, “i dati aggregati del debito finanziario degli Enti locali mostrano valori assoluti e costi di gestione in grado di essere sostenuti dall’attuale finanza locale”.
Arriva invece una bocciatura per quanto riguarda il trasferimento di immobili dallo Stato agli Enti locali previsto dal D.Lgs. n. 85/2010 (c.d. “Federalismo demaniale”), che non risulta ancora aver prodotto effetti significativi, probabilmente a causa dei ritardi nella pubblicazione della lista dei beni cedibili dallo Stato.
Buone notizie, invece, sul fronte della spesa per la Sanità a livello regionale (contenute nella “Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni negli esercizi 2010-2011 “. La Corte dei Corti rileva che nel 2011, “per la prima volta da anni”, la spesa sanitaria complessiva delle Regioni, pari a 112 miliardi, “decresce dello 0,6% rispetto all’anno precedente e si riduce anche l’incidenza sul Pil, che passa dal 7,3% del 2010 al 7,1%”. A questo proposito, si dimostrano “esempio efficace di Spending Review nel SSN sono i piani di rientro in corso nelle Regioni con sistemi sanitari in deficit strutturale (nel 2011 erano Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia e Sicilia), che hanno consentito, nel triennio 2009/2011, di ridurre del 60 per cento i disavanzi di gestione”. La Corte dei Corti conclude rilevando come “il peso della spesa sanitaria su quella corrente complessiva è pari al 74,5%, contro il 74% del 2010 e il 72,4 del 2009”, confermando così quello per la Sanità pubblica come il maggiore capitolo di spesa delle Regioni.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento