Pesante, anzi pesantissimo, il giudizio espresso nei giorni scorsi dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti, chiamata a fare un bilancio della riforma degli enti intermedi delle regioni a statuto ordinario, meglio conosciuta come legge “Delrio”. Non un solo ambito della riforma ha raggiunto il voto della sufficienza. Per i Giudici della Corte dei Conti, sia dai contenuti delle quattro leggi regionali allo stato emanate, che da quelli dei testi approvati nelle Giunte e in discussione nei Consigli regionali emergono criticità che condizionano l’efficacia della legge.
I Giudici contabili si riferiscono infatti a) a talune incertezze nella individuazione della nuova titolarità delle funzioni non fondamentali; b) al rinvio a successivi atti per la concreta riallocazione delle funzioni; c) ad interventi legislativi e/o provvedimentali per la riallocazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie; d) alla mancata attuazione del principio di sussidiarietà nel senso indicato dalla legge ed, al contrario, alla diffusa tendenza ad un accentramento in capo alla Regione delle funzioni amministrative precedentemente svolte dalle Province; e) all’assenza di specifiche disposizioni sulla determinazione degli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio delle funzioni; f) alla mancata applicazione del comma 90 per la conservazione in capo alle Regioni dei servizi a rilevanza economica; g) alla mancata considerazione dello stretto legame previsto dalla l. n. 56/2014 tra funzioni – risorse – patrimonio – personale.
Ancora più severo il giudizio sugli effetti finanziari della riforma. La Corte ha fatto emergere profili critici che, oltre ad essere sintomatici di un graduale, e pressoché diffuso, deterioramento della finanza provinciale, appaiono suscettibili di incidere negativamente sulla tenuta degli equilibri, anche futuri, di bilancio. Ma vi è di più, per la Corte dei Conti, l’anticipazione degli effetti finanziari, che si concretizzano nei tagli di spesa corrente stabiliti dalla legge di stabilità 2015, rispetto all’effettivo trasferimento dei fattori di determinazione delle uscite di tale natura, in particolare della spesa per il personale eccedentario secondo le previsioni della l. n. 190/2014, produce un effetto distorsivo nella gestione finanziaria degli enti in esame.
A questo punto sorge spontanea una domanda. Se la riforma delle Province delle regioni a statuto ordinario che, ancorchè non condivisibile da chi qui scrive, si muove su una linea programmatica e politica coerente con la prospettata espunzione dell’ente intermedio dall’art. 114 della Costituzione, riceve una critica così impietosa dalla Corte dei Conti, quale giudizio ci si può aspettare dai medesimi Giudici contabili sul riordino degli enti intermedi siciliani che, avendo interrotto per l’ennesima volta il percorso legislativo ed avendo prorogato per la quarta volta i Commissari straordinari, sta generando, più o meno consapevolmente, un pericoloso vuoto istituzionale?
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