L’udienza si svolse, come programmato, il 20 maggio 2008 tramite la predisposizione di un sostituto a rimpiazzo del titolare difensore. La condanna ai danni dell’imputato è arrivata l’11 giugno 2010. Ieri, la Corte d’appello ha invece optato per invalidare la sentenza di primo grado proprio in virtù della “violazione di assistenza dell’imputato“, dando rilevanza allo stato di gravidanza-maternità dello stesso difensore, ai fini della richiesta di rinvio d’udienza per un rispettivo legittimo impedimento. “La sentenza -ha chiarito, subito dopo la pronuncia della Corte, l’avvocato Chiara Mazzeo, consigliere provinciale di parità a Pistoia– riconosce il diritto all’astensione per maternità anche alla libera professionista, in questo caso l’avvocato penalista, per il periodo previsto dalla legge per il congedo obbligatorio di maternità, ossia i due mesi precedenti e i tre mesi successivi al parto”.
Una sentenza dunque che si profila di portata innovativa, ai fini della richiesta di rinvio d’udienza per legittimo (e fondato) impedimento, dando considerevole rilievo allo stato di gravidanza così come al relativo parto del legale interessato. La valenza ‘rivoluzionaria’, sempre se di rivoluzione sia lecito parlare all’interno di una società che da anni vanta il raggiungimento della parità tra i generi (anche e soprattutto nel mondo del lavoro), è stata rimarcata anche dal consigliere regionale di parità Wanda Pezzi: “La novità di questa sentenza è che contribuisce ad un cambiamento culturale del modello organizzativo e del concetto di maternità. -ha chiosato Pezzi- Questa sentenza riconosce il diritto dell’uomo o della donna che vogliono stare con i loro bambini neonati e farli crescere”.
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