Il 12 settembre il Consiglio di Stato ha ribaltato completamente una decisione del Tar della Campania che aveva propeso per l’esclusione di una studentessa colta a copiare dal proprio telefono palmare in sede d’esame di maturità. Secondo il Consiglio il provvedimento di estrometterla non teneva minimamente conto né del brillante curriculum scolastico né dello stato d’ansia in cui si trovava, queste sono attenuanti che andavano considerate e non potevano passare sotto silenzio, così la ragazza ha potuto sostenere l’esame con riserva.
Questa decisione lascia l’amaro in bocca, per quanto non si possano esprimere giudizi categorici quando si tratta delle esperienze di vita degli altri, è però pur vero che inevitabilmente l’immagine della scuola italiana, già vacillante per motivi propri, ne esce fortemente destituita di credibilità. Una sentenza del genere fa passare obiettivamente un messaggio sbagliato e fuorviante, fornisce il destro agli studenti per sfuggire a qualsiasi mezzo di controllo da parte dell’insegnante, un provvedimento del genere svuota di senso i corsi sulla legalità, le ore di educazione civica che dovrebbero avere il ruolo di formare la coscienza degli studenti e invece finiscono con l’essere spazi in cui è sempre più difficile insegnare.
Questa sentenza è grave perché concerne un sistema scolastico dove, alla vigilia della maturità, è stato necessario ciò che solo in Italia è necessario ricordare, ossia è stato fatto un appello pubblico da parte di un gruppo di insegnanti perché durante la sessione d’esame fossero fatte rispettare le regole, evitando così aiutini da parte dei colleghi e che si vigilasse di modo che gli studenti non copiassero. Secondo una recente indagine, alla maturità italiana, è praticamente di prassi copiare; il 37% degli studenti ha ammesso di aver copiato praticamente tutto, il 10% buona parte e il 13% un po’, lo stretto necessario.
Questo fenomeno è così diffuso perché è largamente diffusa nella scuola, di più, fra i docenti, l’idea che copiare in fin dei conti sia qualcosa di scusabile. Questo modo di pensare rischia di sdoganare atteggiamenti illeciti, che favoriscano comportamenti eticamente sbagliati e scorretti, figuriamoci poi se questa linea di pensiero viene suffragata da una sentenza del Consiglio di Stato, si rischia di andare incontro ad una scuola che promuove non i valori etici che formano l’individuo ma quegli anti valori che poi spingono sempre più giovani a finire nelle cronache quotidiane per atti vandalici, violenze e microcriminalità.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento