Contributi Inps durante la Cassa Integrazione: come funzionano e massimali

A causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 che sta attraversando l’Italia, una vastissima platea di lavoratori sono stati costretti per la prima volta a sospendere temporaneamente l’attività lavorativa, accedendo alla cd. “cassa integrazione”.

Si tratta di un periodo, che dura al massimo 9 settimane nel caso specifico del Coronavirus, nel quale i lavoratori si sono visti ridurre le ore lavorative contrattualmente stabilite (cd. “Cig con riduzione orario di lavoro”). Inoltre, le aziende che non figurano tra le attività definite essenziali dal Governo hanno dovuto optare per una diminuzione totale, ossia al 100%, delle ore lavorate (cd. “Cig a zero ore”).

Un dubbio che potrebbe nascere nell’ambito dei trattamenti di integrazione salariale è se tali periodi sono coperti dal punto di vista previdenziale.

In altri termini, i lavoratori in cassa integrazione ricevono ugualmente la copertura dei Contributi Inps per la pensione? Se così non fosse, subirebbero una penalizzazione non indifferente, in quanto si allungherebbe l’età pensionistica, oltre a riduzione proporzionale del montante contributivo che andrà a formare la pensione del lavoratore.

Quindi la domanda è: come funziona in Cassa integrazione i contributi 2020? Nelle seguenti righe si pongono in relazione la cassa integrazione con i contributi Inps, alla luce anche del D.L. n. 18/2020 (cd. “Decreto Cura Italia”).

“Cassa Integrazione: massimali, pagamento e
quanto si perde di stipendio”

Contributi Inps in Cig: lavoratori tutelati dai contributi figurativi

In caso di accesso del lavoratore in cassa integrazione, la regola generale prevede che quest’ultimo non perda neanche un giorno di pensione. Questo vale sia che il lavoratore venga collocato in Cig a zero ore sia in caso di Cig con orario ridotto.

A prevedere la predetta tutela in favore del lavoratore è la nuova disciplina degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, ossia il D.Lgs. n. 148/2015. Tale provvedimento legislativo all’art. 6 dispone espressamente che: “i periodi di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro per i quali è ammessa l’integrazione salariale sono riconosciuti utili ai fini del diritto e della misura alla pensione anticipata o di vecchiaia”.

Dunque, tale norma afferma praticamente che il lavoratore è tutelato da contribuzione figurativa durante la cassa integrazione.

Il periodo successivo dell’art. 6 chiarisce anche la modalità di calcolo dei contributi figurativi. In poche parole, esso è calcolato sulla base della retribuzione globale cui è riferita l’integrazione salariale. Inoltre, le somme occorrenti alla copertura della contribuzione figurativa sono versate, a carico della gestione o fondo di competenza, al fondo pensionistico di appartenenza del lavoratore beneficiario.

Contributi Inps: chi li paga in caso di Cig

Dunque, per rispondere alla domanda se i lavoratori in cassa integrazione ricevono i contributi, la risposta è assolutamente sì. Infatti, anche chi per l’emergenza Coronavirus è stato obbligato a rimanere a casa per via delle misure speciali del Governo atte a prevenire qualsiasi forma di contagio, riceverà i corrispondenti giorni contributivi.

Ma chi paga i contributi figurativi in caso di Cig per Coronavirus? Come per la generalità dei casi, i contributi sono pagati direttamente dall’Inps. Questo significa che il datore di lavoro non verserà neanche un euro per le ore in cui i lavoratori ricevono l’integrazione salariale. In altre parole, il datore di lavoro è esonerato dal pagamento dei contributi Inps in caso di:

  • Cig a zero ore;
  • Cig con riduzione dell’orario, per tutte le ore non lavorate. Mentre per le ore in cui il lavoratore presta l’attività lavorativa in azienda, i contributi sono pagati dall’azienda stessa.

Pertanto, qualsiasi cosa accada il lavoratore non perderà nulla ai fini pensionistici, poiché si vedrà accreditati nell’estratto conto contributivo i contributi figurativi sulla retribuzione globale.

Contributi Inps: quanto si riceve in Cig

Altro punto fondamentale da sottolineare è l’aliquota percentuale riconosciuta ai lavoratori in cassa integrazione. La regola generale prevede che i lavoratori dipendente devono corrispondere mensilmente all’Inps un’aliquota contributiva del 9,19%, che viene sottratta direttamente dal datore di lavoro in busta paga. Percentuale, questa, che scende al 5,84% per gli apprendisti.

La situazione, però, non è analoga in caso di cassa integrazione. Infatti, quando l’impresa fruisce di un periodo di Cig ai lavoratori è riconosciuto una contribuzione figurativa da parte dell’Inps con aliquota pari al 5,84%, anziché del 9,19%. In altri termini, viene utilizzata la stessa aliquota degli apprendisti.

L’obbligo di versamento dell’aliquota apprendisti del 5,84% è contenuto nell’art. 26 della L. n. 41/1986. Tale norma vale anche per l’assegno ordinario FIS e per la CIG in deroga, in quanto alle stesse si applicano, ove compatibili, le norme della CIGO.

Contributi Inps: Cigo, FIS e Cig in deroga

Ricapitolando quanto appena affermato è possibile dire che per la Cigo, FIS e Cig in deroga:

  • il lavoratore in cassa integrazione riceve sempre la contribuzione figurativa e non perde nulla ai fini pensionistici;
  • la contribuzione figurativa viene versata interamente dall’Inps in caso di Cig a zero ore, ovvero limitatamente alle ore non lavorate in caso di Cig con orario ridotto;
  • l’Inps corrisponde una percentuale contributiva pari al 5,84%, sia con anticipazione datoriale che con pagamento diretto Inps;
  • sulle ore lavorate del mese, il datore di lavoro versa la contribuzione ordinaria a carico azienda e il lavoratore la contribuzione ordinaria del 9,19%.
  • per le giornate in cassa integrazione, in caso di anticipazione del datore di lavoro, il lavoratore riceve il pagamento della CIG in busta paga ma con la trattenuta dei contributi con aliquota del 5,84% calcolata sulle sole ore di integrazione salariale.

Contributi Inps: i massimali di integrazione salariale

Infine, in merito alla percentuale contributiva del 5,84% che versa l’Inps per conto dell’azienda e in favore del lavoratore, occorre in ogni caso tenere conto dei massimali di Cig. Si ricorda, infatti, che la norma prevede un tetto massimo di retributivo pari a:

  • 993,21 euro lordi (935,21 euro netti), per le retribuzioni inferiori o uguali a 2.148,74 euro;
  • 193,75 euro lordi (1.124,04 euro netti), per le retribuzioni superiori a 2.148,74 euro.

Quindi, i contributi devono essere calcolati sui predetti importi molto spesso visto che l’integrazione è pari all’80% della retribuzione percepita dal lavoratore. Quindi, raggiungere i predetti limiti è molto facile.

Pertanto, quando un lavoratore viene posto in integrazione salariale, nonostante non sia coperto dai contributi volontari, è anche vero che subisce automaticamente alcune penalizzazioni dal punto di vista previdenziale, in quanto:

  • l’Inps applica un’aliquota contributiva inferiore (5,84%);
  • la contribuzione si calcola sull’integrazione salariale che è spesso limitata dai predetti massimali.

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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali. 

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Daniele Bonaddio

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