Il contratto verbale di locazione immobiliare. Rapporti di fatto ed occupazione senza titolo

Antonio Arseni 27/10/14
La locazione degli immobili urbani, come è noto,è stata, negli ultimi trenta anni oggetto di consistenti interventi legislativi, a cominciare, per ricordarne solo  alcuni,  dalla L.392/1978, passando per la L. 431/1998,  per finire con  la recente   L80/2014,  i quali spesso sono stati giustificati per far fronte ad emergenze abitative  o, il più della volte, per ragioni di natura tributaria.  L’Istituto delle locazioni, quale previsto dal Codice Civile, è stato ridisegnato soprattutto  per quanto riguarda la durata, la misura del canone, la forma   scritta, non senza suscitare  accesi dibattiti tra gli operatori del diritto, come quello relativo alla recente L.  23/2011, dai più vista come un intrusivo intervento del legislatore svolto “a gamba tesa” sulla autonomia privata,  attraverso il noto meccanismo  “sanzionatorio” di  determinazione del canone di locazione in misura pari al triplo della rendita catastale   dell’immobile all’esito della denuncia/registrazione  del contratto non effettuati in precedenza, nei termini previsti dall’art. 3, commi 8 e 9. Una disposizione, questa ultima , dichiarata incostituzionale, con la recente sentenza della Alta Corte n.50 del 2014, le cui determinazioni purtuttavia , come qualcuno ha ricordato, sono state maldestramente aggirate con la successiva L. 80/ 2014 ( detta salva inquilini) che, in pratica, ha dettato  una sanatoria per i  contratti registrati sulla base della L. 23/2011, di cui sono stati prorogati gli effetti fino al 31.12 2015. Con  rinnovati problemi di illegittimità costituzionale, per contrasto al giudicato già espresso, tant’è che la relativa questione è stata nuovamente sollevata avanti l’Alta Corte da una recente ordinanza del  Tribunale di Napoli del 18/6/2014.

Quanto sopra per dire   che la materia delle locazioni, nell’ambito del diritto civile, è veramente “un costante divenire” per usare la nota espressione del filosofo greco Eraclito, che  molto ha anche occupato la giurisprudenza.

Approfondendo il tema in esame, possiamo affermare che la legge, allo stato attuale, non tollera più  la stipulazione di un contratto di locazione in forma verbale, almeno per quanto riguarda sicuramente le locazioni abitative, essendo stato previsto, dall’art 1, 4 comma, L.431/1998, l’obbligo della forma scritta ad substantiam, pena la relativa nullità  radicale (assoluta)

Sul punto è bene chiarire  che nella formula utilizzata nell’art 1, 4 co., L. 431/1998 (“per la stipula di validi contratti di locazione”) la forma scritta non è prevista espressamente  a pena di nullità, così come indicato nell’art.1325 Cod. Civ. Ma una interpretazione sistematica induce ad assimilare, come affermato autorevolmente dalla Corte di Appello di Roma (Sentenza 12/05/2010 n. 1424), la prescrizione della norma citata alle previsioni di una forma ad substantiam” sulla base della c.d. regola di qualificazione di cui all’art.1352 C.C.,  “alla stregua della quale, in difetto di univoche prescrizioni, la forma deve intendersi imposta per la validità del contratto e cioè a pena di nullità piuttosto che ad probationem” cioè come mezzo di prova per dimostrare l’esistenza del contratto. Secondo la Corte Capitolina “ la ratio è da rinvenire nella esigenza di certezza e trasparenza del rapporto sia tra le parti che nei confronti del Fisco ed è chiaramente delineata a proteggere un mercato caratterizzato  da una consolidata prassi di contratti in tutto od in parte invalidi. Il fondamento Costituzionale di tale limite alla autonomia negoziale è da individuarsi nell’art.  41 Cost. oltre che nell’art. 53 quanto ai conseguenti obblighi tributari”

Il contratto verbale, quindi, non  è valido è tamquam non esset, è come se non esistesse

La locazione verbale è una locazione fuorilegge.

L’accertamento della nullità del contratto di locazione per difetto di forma, che può anche conseguire ad esempio a seguito del disconoscimento operato da una delle parti circa la genuinità della propria sottoscrizione apposta sul documento, non seguita dalla formale verifica, ovvero quando dalla verifica risulti l’apocrifia della firma stessa, travolge l’intero rapporto contrattuale e priva di causa le prestazioni delle parti in base al principio “quod nullum est nullum producit effectum”.

Vedremo in prosieguo con quali conseguenze.

Ora è importante ricordare che la forma scritta è prevista solo per le locazioni abitative, oltre alle ipotesi contemplate dall’art. 1350 n. 8 Cod. Civ., ossia per i contratti di locazione  che originariamente prevedono una durata ultranovennale e non anche per contratti  di locazione per uso diverso dalla abitazione  in cui il rinnovo alla scadenza del primo sestenio, per un altro, è solo eventuale in quanto condizionato alla mancata disdetta del locatore ex artt. 28 e 29 L. 392/78. In questo senso, non può essere condivisibile, ed in effetti non  ha  trovato alcun successo, l’arresto giurisprudenziale rappresentato dalla risalente decisione della S.C. 30/12/1991 n. 14012, secondo cui le locazioni ad uso diverso normalmente avrebbero una durata  di 12 anni.

Il principio della libertà della forma, per le locazioni ad uso diverso dalla abitazione,  trova eccezione non solo con riguardo ai quei rapporti di durata pattizia ultranovennale ma anche con riferimento a quelli in cui è parte una Pubblica Amministrazione in ragione del disposto dell’art. 1350 n. 13, Cod. Civ., laddove è prescritta la forma scritta, a pena di nullità,  “ per gli altri atti specificamente previsti dalla legge”. Le Leggi che disciplinano i contratti della P.A. prevedono, per l’appunto, detto requisito formale in considerazione del principio generale secondo cui la manifestazione della P.A. non può derivare per implicito o per fatti concludenti ma deve promanare attraverso le rigide forme richieste dalla legge ( Cass.30/06/1998 n. 6406) . E, ciò, anche quando la P. A. agisca iure privatorum (Cass. 04/11/2004 n. 21138).

Va precisato, comunque, che pur non essendo prevista la forma scritta ad substantiam, per le locazioni ad uso diverso dalla abitazione, ciò non significa che a detta modalità (per così dire sacramentale) non si debba ricorrere  quando, comunque, la validità del contratto stesso è subordinato ad un adempimento fiscale.

E’ quanto avviene per l’obbligo di registrazione del contratto stesso, previsto per entrambi i tipi delle locazioni (abitative e non) dall’art. 1, co. 346 L. 311/2004, che recita testualmente: “ i contratti di locazione o che, comunque costituiscono diritti relativi di godimento di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, sono nulli se ricorrendone i presupposti, non sono registrati”

Per la registrazione del contratto, infatti, si chiede la produzione di documento scritto in cui la forma è richiesta ad regolaritatem ossia per esigenze   di pubblicità  o fiscali come, per fare altro esempio, per quei contratti con cui si trasferisce la proprietà di beni mobili      registrati.

Si parla, al riguardo, di un terzo tipo di forma  dei contratti  accanto a quelli tradizionali  per cui essa è richiesta ad substantiam ovvero ad probationem.

La disposizione dell’art 1, co 346 della L.311/2004 – che ha resistito alle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate, sotto vari profili, da alcuni Tribunali, viste le decisioni di inammissibilità e manifesta infondatezza adottate dal Giudice delle Leggi con ordinanze 420/2007, 389/2008, 110/2009- riprende ed amplia gli effetti dell’art 1 L. 431/1998, atteso che per la  validità ed efficacia dei contratti di locazione, questi non solo devono rivestire la forma scritta ma devono anche essere registrati.

Con una pertinente precisazione, il Tribunale di Roma, con sentenza 16/6/2011 ha evidenziato che il documento attestante la registrazione dell’accordo verbale, comunque non sanerebbe la invalidità derivante dalla mancanza di forma scritta, prevista da substantiam.

In buona sostanza, se per le locazioni abitative la forma è richiesta ad substantiam, lo stesso non può dirsi per quelle ad uso diverso in cui la necessità dell’atto scritto deriva dalla previsione legislativa dell’adempimento fiscale rappresentato dalla registrazione del contratto.

Tale distinzione non è senza rilievo in quanto, come  visto, la registrazione del contratto per le locazioni abitative non ha efficacia sanante in caso di contratto stipulato verbalmente , a differenza   delle locazioni non abitative in cui – essendo la forma  propedeutica ad un adempimento fiscale- la registrazione condiziona la efficacia del contratto stesso, permettendo la esigibilità delle contrapposte prestazioni.

Tale è la conclusione cui è pervenuta la giurisprudenza di merito ( a cominciare dalla nota sentenza del Tribunale di Modena 12.6.2006, segnalandosi sul punto, tra le altre, le due pregevoli decisioni del Tribunale di Cuneo nn.582 e 583 del 13.10.2009) e  quella di legittimità, attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art.1 co 346 L. 311/04 (v. soprattutto Corte Cost. 2009/110), che vede nella espressione utilizzata dal legislatore (nullità) un riferimento improprio, alla luce della effettiva portata giuridica della norma, all’evidenza voluta per contrastare l’evasione fiscale ed assicurare il pagamento del tributo.

Quindi, una mera condicio iuris della locazione, con efficacia sanante ex tunc, per le locazioni ad uso diverso e per quelle  abitative, purchè ( e ciò va ribadito) stipulate in forma scritta in quanto espressamente richiesta dalla legge (1998/431), e da sola sufficiente a sancire, in difetto, la nullità assoluta del contratto. Al riguardo si ricorda che l’art. 1350 C.C. prevede il principio secondo cui “  gli effetti dell’avveramento di una condizione retroagiscono al momento in cui è stato concluso il contratto” .

A parere di  chi scrive , questa  è l’interpretazione più coerente con il dato normativo e con gli scopi perseguiti dal legislatore, non dimenticando che tale soluzione è suffragata, peraltro, dal c.d. Statuto dei diritti del Contribuente, che all’art. 10, co.3 L.27/2/2000 n. 212, sancisce il principio secondo cui “ le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.

Il contrario orientamento, espresso da ultimo, dal Tribunale di Lecce, sez. Maglie, con sentenza 871/2014, si basa sul dato testuale dell’art. 1 co  346  L 311/2004 ove è prevista la sanzione di nullità  del contratto di locazione non registrato, non potendosi desumere, da una  così chiara affermazione, che il Legislatore abbia usato una dichiarazione errata facendo riferimento ad una mera inefficacia.

Nello stesso senso si è espressa parte della giurisprudenza di merito,  come il Tribunale di Roma  (sentenza 30.09.2010), il Tribunale di Napoli 19.10.2014, la  Corte Appello di  Brescia sez.  II, 28.5.2, reputando alcuni la ricorrenza, in tali ipotesi, di una nullità insanabile ( Roma/Brescia), altri di una nullità sanabile ex nunc  (Lecce/Napoli)

RIASSUMENDO sul punto,  si possono formulare le seguenti conclusioni.

A)Contratti verbali riguardanti gli immobili ad uso abitativo: nullità assoluta, ancorchè registrati;

B)Contratti  di immobili ad uso diverso, stipulati in forma scritta ma non registrati: inefficacia e vizio sanabile ex tunc all’esito del tardivo adempimento fiscale; C)Contratti   verbali di locazione di immobili ad uso diverso, comunque registrati attraverso quella forma scritta  che si definisce ad regolaritatem: appare prevalere la tesi della validità.

E’ evidente che  detta ricostruzione tiene conto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9 della L.23/2011, salvo gli effetti prodotti dai contratti registrati in virtù di detta normativa, così come previsto dalla recente L.80/2014, di cui si è detto, invero già sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.

E’ utile, a questo punto, ricordare che la L.431/98 all’art. 13 prevede un particolare meccanismo attraverso cui il conduttore, a fronte della nullità del contratto di locazione  ad uso abitativo, per difetto di forma scritta, possa ricondurlo a condizioni conformi a quanto previsto dalla legge, allorchè il locatore abbia preteso l’instaurazione di un rapporto di fatto in violazione dell’art. 1, ossia stipulando un contratto verbale di locazione. In buona sostanza, è previsto, in caso di imposizione della forma verbale, da parte del locatore, che il conduttore possa esperire un’azione avanti il Tribunale competente volta  a far accertare la esistenza del rapporto locativo, con pronuncia costitutiva ed efficacia retroattiva, a far determinare il canone dovuto in misura non superiore a quello definito ai sensi del c.d. Canale amministrato e, conseguentemente, a condannare il locatore alla restituzione delle somme versategli in eccedenza.

Al contrario, allorchè la mancanza della forma scritta  derivi da una pretesa del conduttore( ed il caso non è infrequente, basti pensare, ad esempio alle locazioni a favore di persone straniere, prive del permesso di soggiorno e che non vogliono apparire, oppure alle locazioni c.d. Pied-a-terre), ovvero sia concordata liberamente dalle parti, si applicano i principi generali di cui in prosieguo diremo.

Da una parte della dottrina e della giurisprudenza, si parla, a tal proposito, di una “nullità di protezione”, introdotta di recente in ambito giuridico con lo scopo di riconoscere tutela al contraente più debole, il conduttore, come nell’esempio del consumatore nei confronti dell’imprenditore. Una nullità, che proprio perchè accordata ad una parte contrattuale può solo da questa essere fatta valere allorchè ricorrano le condizioni di legge (pretesa del locatore per la instaurazione di un rapporto di fatto, come accade  con riguardo alle rilevabilità delle nullità relative.

Secondo altra critica giurisprudenza ( ex multis, v. Tribunale di Venezia, Sez. S.Donà del Piave 02/05/2011) detto meccanismo non introdurrebbe un nuovo genus di nullità in quanto le legge 431/98 “ si inserirebbe in un contesto diverso, cioè in un contesto in cui il legislatore prevede la nullità del contratto di locazione in forma orale senza in alcun modo delimitare l’ambito di operatività di quella nullità… la lettura combinata degli artt. 1, co. 4 e e 13, co. 5 della L. 431/98 dà contezza del carattere assoluto di detta nullità…. l’art. 13 prevedendo infatti che il conduttore possa far venir meno la nullità chiedendo la riconduzione del contratto alle forme di legge , unicamente ove la forma orale gli sia imposta dal locatore” . “La norma ,dunque, sancisce la nullità in via generale…. consente al conduttore non già di far valere la nullità  ma di sanare la stessa chiedendo il rispetto delle forme di legge.” Tra l’altro,  “ la nullità di protezione costituisce eccezione alla regola generale della nullità assoluta e come tale necessita di espressa previsione”.

Avviandoci a conclusione, occorre esaminare un aspetto importante legato alle conseguenze che si determinano in ragione di un contratto nullo per difetto di forma.

Orbene è indubbio che in mancanza di un titolo, che possa giustificare l’occupazione dell’immobile, concesso in forza di un contratto nullo, la stessa non può non atteggiarsi in maniera del tutto illegittima. Con la conseguenza che il conduttore dovrà senz’altro essere condannato al rilascio dell’immobile occupato  senza titolo  (in giurisprudenza, ex multis, v. Tribunale Reggio Calabria 2.12.02; Tribunale Milano 9.6.05; Tribunale Savona 13.8.05; Tribunale Mondovì 14.7.07; Tribunale Roma 16.6.11; Tribunale Civitavecchia 6.11.12).

La nullità del contratto di locazione comporterà, inoltre, che non siano ripetibili le prestazioni consistite nel godimento dell’immobile e per lo pseudo locatore la possibilità di avere, ove richiesto, un indennizzo per il danno subito dalla occupazione.

In particolare, è stato più volte sostenuto che il danno subito dal proprietario sarebbe in re ipsa e coinciderebbe con l’evento, derivando dalla perdita di disponibilità del bene e dalla impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dallo stesso in relazione alla sua  natura, normalmente fruttifera. La  relativa determinazione allora potrebbe essere  effettuata dal Giudice sulla base di elementi presuntivi semplici con riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, al valore locativo del bene usurpato (v. a titolo esemplificativo, Cass. 8/5/2006 n. 10488; Cass.11/2/2008 n. 3251 ; 11/3/2011 n.5028). In buona sostanza, una volta che il Giudice abbia accertato che l’occupazione dell’immobile è senza titolo, non potrebbe negare il diritto al risarcimento danni sulla base di detti elementi, ritenuti idonei per una liquidazione in misura corrispondente al guadagno che la proprietà avrebbe potuto trarre dall’immobile. Affermare il contrario, ossia che occorrerebbe la prova della concreta lesione subita, dimostrando, ad esempio  la perdita, da parte dello pseudo locatore di vantaggiose proposte contrattuali, si finirebbe per addossare allo stesso ( come argutamente  sostenuto dal Tribunale di Firenze nella sentenza 2/5/2003)” un onere probatorio diabolico tanto gravoso quanto facilmente eludibile nella pratica essendo impossibile accertare l’eventuale mendacio di un teste compiacente disposto a dichiarare di aver aver a suo tempo offerto di prendere in locazione il bene”

Al danno evento si contrappone  diversa giurisprudenza , che appare preferibile, secondo cui l’occupazione senza titolo dell’immobile costituirebbe sempre un danno conseguenza per la cui liquidazione è necessaria la dimostrazione della sua concreta ed attuale sussistenza, ossia la prova da parte del proprietario, di aver subito una lesione del proprio patrimonio, per non aver potuto, ad esempio locare l’immobile ancorchè la prova può  risultare  da presunzioni gravi, precise e concordanti, che sarà compito del Giudice individuare attraverso un percorso argomentativo e motivazionale congruo (v. Cass. 1/1/2005 n. 378; Cass. 17/6/2013 n. 15111). Opinare il contrario significherebbe addossare all’occupante senza titolo l’onere di dimostrare la inesistenza del danno senza che esso sia stato provato da chi quel danno fa valere, trasformando il sistema della responsabilità civile  da strumento risarcitorio di pregiudizi effettivamente subiti a strumento sanzionatorio di condotte illegittime (v. in questo senso Cass. 2008/15814). In tale contesto, va rammentato che il ricorso ai dedotti elementi presuntivi non sarebbe consentito al giudice quando il proprietario dell’immobile abusivamente occupato si sia intenzionalmente disinteressato della cosa mostrando, con tale comportamento, di non voler trarre le utilità che dalla stessa derivano (v. Cass. 7/8/2012 n. 1422)

Questi i principi generali in tema  di accertamento e determinazione del danno risarcibile  provocato dalla illecita occupazione dell’immobile che, come visto, deriva anche dalla utilizzazione del bene in virtù di contratto di locazione nullo, di cui non si può non tener conto nella concreta liquidazione della c.d. indennità risarcitoria.

La specificità, come visto, è data dal fatto che finchè il rapporto di locazione non  entra in crisi ( a causa dell’inadempimento di una delle parti, normalmente la morosità dello pseudo conduttore) nessuno si immagina di  di sviluppare questioni sulla validità dello stesso. Ma quando ciò accade, si affacciano problematiche, sopra accennate e che qui appare opportuno approfondire.

Orbene, il Tribunale di Roma con due sentenze, meritevoli di essere citate , per il rigoroso percorso logico e motivazionale seguito (decisioni 16/06/2011 e 1/10/14), ha stabilito che la indennità in questione non potrebbe essere commisurata al canone di locazione fino ad allora pagato perchè altrimenti  si finirebbe per attribuire efficacia ad un contratto  verbale. Meglio allora quella interpretazione che vede nel rapporto di fatto a seguito della invalidità del contratto di locazione, comunque un fatto oggettivo

valutabile

Quindi, tirando le fila del discorso , possiamo dire  che:  1) attraverso  la consegna dell’immobile, da parte dello pseudo locatore allo pseudo conduttore quest’ultimo assume   la posizione di possessore in buona fede con  la conseguenza, che in assenza di un rapporto  di locazione non è tenuto a versare un canone senza però poter vantare alcun diritto di restituzione in quanto espressione di una obbligazione naturale o comunque espressione    di uno spontaneo riconoscimento dell’arricchimento                             del proprietario; 2) che dal momento della richiesta di restituzione dell’immobile,                                 la posizione del possessore di buona fede  (pseudo                                         conduttore)  si atteggia in male fede con obbligo di rilascio e pagamento,   (da quel momento ) di un equo indennizzo, che non può  essere equiparato al valore locatizio figurativo di cui all’art. 1591 C.C, in assenza di un rapporto valido di locazione  e che invece va commisurato in via equitativa attraverso il  ricorso  all’Istituto dell’arricchimento senza causa, considerando solo la diminuzione patrimoniale e non anche il lucro cessante (così Cass. 2005/1878; Cass. 2338/2008)

Antonio Arseni

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