Quest’oggi, torno sull’argomento a seguito della lettera inviata dal presidente dell’Associazione provinciale forense di Bergamo, Franco Uggetti, alla Coop a proposito dell’annuncio del servizio di “orientamento legale” offerto.
Ora, al di là della vicenda (segnalo peraltro che si trova facilmente in rete anche la risposta fornita dalla Coop) mi interessa invece discutere di un altro aspetto, più generale.
Ovvero: siamo tutti convinti che lo svilimento della professione derivi da queste iniziative?
Io, sinceramente, no.
Frasi come “il diritto non è una merce” o “il diritto non è un prodotto”, se da un lato risultano di lapalissiana evidenza, dall’altro non mi pare abbiano avuto alcuna utilità nella difesa della professione.
O qualcuno può dire il contrario? Non credo.
Non è forse ora di dire (e prima di tutto “dirci”, parlo della categoria forense) che non tutte le prestazioni professionali che un avvocato può offrire sono uguali e che non tutte necessitano di chissà quale studio o approfondimento?
Perchè se non cominciamo da qui, a squarciare i veli dell’ipocrisia che troppo spesso ha condito e continua purtroppo a condire le affermazioni di principio rese dai vertici nazionali e locali dell’avvocatura, non si andrà da nessuna parte.
Con una frase che ripeto spesso: mettiamocela via, non siamo più (purtorppo o per fortuna, naturalmente ognuno può avere la propria opinione al riguardo) nel 1950, siamo nel 2013.
Il mondo è cambiato e la clientela è cambiata, ma l’avvocatura tarda a cambiare. E’ ora che cambi, anche nel proporsi al cliente, prima che sia troppo tardi e sempre che già non lo sia.
E’ anacronistico e inutile sprecare energie per combattere battaglie di retroguardia in nome di una professione mitizzata: rimbocchiamoci le maniche per adeguarci alle istanze che provengono dalla società, e ciò può anche voler dire anche uscire dallo studio.
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