Di fronte alla lentezza pachidermica dei palazzi di risolvere l’impasse sul futuro governo, e le sabbie mobili in cui sembrano muoversi i singoli partiti, non resta che allargare le braccia, sperando che, prima o poi, qualcuno dei protagonisti di questo teatrino infinito possa avere un lampo di genio e trovare la quadra tanto attesa.
Nel frattempo, assistiamo inermi a un andirivieni senza precedenti nei saloni del Quirinale, dove da ormai quindici giorni sentiamo i leader ripetere stancamente le stesse frasi, i medesimi inviti e le ormai trite formule per rivolgersi agli pseudo alleati.
La situazione è nota: M5S non vuole Berlusconi, Lega e Salvini si imbarcherebbero in un’avventura di governo con i 5 Stelle, ma temono di voltare le spalle al fondatore di Forza Italia. Dall’altro lato, il Pd attende il cadavere del nemico sulla riva del fiume, ma forse prima servirebbe identificare un nemico, che al momento non c’è.
Opposizione a prescindere
La posizione dei democratici, che al momento non accennano ad aperture, risulta ancor più di difficile comprensione se si pensa agli imminenti appuntamenti elettorali. Si parte dalle Regionali, con una doppia chiamata già nelle prossime due domeniche: prima toccherà al Molise e poi, in maniera ancor più delicata per gli equilibri nel direttivo democratico, in Friuli Venezia Giulia.
Per quale ragione gli elettori, dopo aver consegnato al partito di Renzi & Co. un misero 18% alle urne, dovrebbero premiare il centrosinistra? Per la fermezza con cui si affanna a ripetere come un disco rotto “Noi stiamo all’opposizione”, di un governo peraltro che neanche si sa se mai nascerà.
Forse, per scuotere un po’ elettori e clima, un tavolo con i grillini potrebbe cambiare le carte, fosse solo a fini meramente mediatici ed elettoralistici.
A giugno, poi, ci sarà un altro, profondo test che riguarda anzitutto proprio il Pd, poiché si andranno a rinnovare le amministrazioni di numerose città tra cui ben 21 capoluoghi, tra le più importanti Pisa, Siena, Avellino, Imperia, Siracusa, Treviso, Udine.
Stefano Bonaccini, governatore dem dell’Emilia-Romagna, in questi giorni, ha messo in guardia i compagni di partito: “Attenti – ha detto – se ci sarà una saldatura tra Lega e Cinque Stelle, questa potrebbe trasferirsi automaticamente alle amministrative”. Tradotto: rischiamo di perdere tutti i ballotaggi.
Alla luce di queste considerazioni, la posizione sul governo espressa sin dalle ore successive al voto sembra un arroccamento assai complicato da giustificare, a meno che non si voglia arrivare, con ciò, alla piena irrilevanza di una forza politica che raccoglie le migliori tradizioni del Novecento e ha, soprattutto nel territorio dello Stivale, centinaia di amministratori, dirigenti, gruppi di interesse che vantano lunga esperienza nella gestione della macchina pubblica.
Di fronte a questi scenari, alcuni già in atto e altri di là da venire, resta un rebus la linea del Pd, al di là di una presa di posizione rancorosa – sicuramente a causa di certi toni usati da M5S nella passata legislatura – che però allo stato attuale sta contribuendo fortemente a paralizzare il Paese e a rendere il centrosinistra sempre meno centrale.
Ci sono esempi in cui non avere un governo è stato un elemento di temporanea spinta all’economia di vari Stati, ma l’atteggiamento pilatesco non può che portare danni, sia a chi lo compie che alla collettività che lo subisce.
Fonte img: YouTube
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