Consulta e Corte dei Conti a confronto sul pubblico impiego

Le più recenti interpretazioni della Corte Costituzionale e della Corte dei Conti, ripropongono, da angolazioni diverse, la complicata dicotomia del pubblico impiego.

Privatizzato, contrattualizzato ormai da decenni, ma che rimane assoggettato ad un regime pubblicistico ogniqualvolta precise esigenze di Governo lo prevedano.

La Corte Costituzionale, con la recente sentenza 120 del 2012, ha posto l’accento proprio sul carattere pubblicistico dell’impiego alle dipendenze dello Stato. La pronuncia nega la fondatezza delle questioni di costituzionalità proposte avverso le decurtazioni per malattia, poste a carico dei dipendenti pubblici con il decreto legge 112/2008, e espressamente ricorda che “malgrado la tendenziale omogeneizzazione derivante dalla privatizzazione del pubblico impiego, la Corte non ha mancato di escludere l’equiparabilità tra gli ambiti del lavoro pubblico e del lavoro privato, affermando a più riprese la non perfetta coincidenza dei relativi regimi”.

Per poi ribadire che la misura di decurtazione economica persegue il buon andamento dell’amministrazione ed esigenze di controllo della spesa pubblica (esigenze non certo tipiche dei rapporti di lavoro di tipo privato), con la subordinazione del diritto all’equa retribuzione alle superiori esigenze che il lavoro alle dipendenze dello Stato comporta.

Poco dopo, nel mese di maggio, la Corte dei Conti deposita la poderosa “Relazione 2012 sul costo del lavoro pubblico”. Il documento, invece, critica espressamente la congerie di interventi e di norme (definita “una legislazione stellare e frammentata” che si esprime “in senso restrittivo su singole voci che incidono sul costo del personale”), che con varie modalità, a partire dal decreto legge 78/2010 fino alle più recenti manovre economiche d’estate e infine dell’attuale Governo, congelano di fatto fino al 2014 le retribuzioni nel pubblico impiego e impongono altre misure fortemente restrittive, nell’ambito di provvedimenti diretti al contenimento della spesa pubblica che recidono la correlazione tra prestazione e retribuzione, e la misurazione dell’efficienza della prestazione resa.

Ebbene, la suprema magistratura contabile lucidamente critica la definizione normativa del pubblico impiego in termini solo finanziari, peraltro fortemente rigidi, che privano le singole amministrazioni dell’elasticità necessaria per utilizzare lo strumento salariale per i fini di recupero di produttività nel settore pubblico e per il miglioramento dei servizi.

La magistratura costituzionale e quella contabile quindi, nel medesimo periodo, offrono due visioni dicotomiche, ancora una volta, sul pubblico impiego; la Corte Costituzionale lo inquadra come assoggettabile a buon diritto a misure di contenimento della spesa pubblica in quanto ontologicamente diverso rispetto al lavoro privato, la Corte dei Conti in qualche modo lo “assolve” nelle sue “mancanze”, riconoscendo le misure contenitive, e le conseguenti mancate crescite economiche, quali responsabili del peggioramento delle prestazioni e dei servizi.

Ancora una volta quindi, l’impiego pubblico è terreno di dubbi ed incertezze interpretative, poiché ambito pubblico o privato a seconda dei punti di vista, dei settori di riferimento, delle innumerevoli deroghe, e gli esempi da proporre sarebbero moltissimi.

Solo per citare una incongruenza di difficile comprensione: il comparto sicurezza e soccorso civile (Forze Armate, Polizia, Vigili del Fuoco), ovvero quella categoria di personale che l’art. 3 del decreto 165/2001 assoggetta ad un regime derogatorio di diritto pubblico, viene invece quasi “esonerato” dalle misure contenitive della spesa; come nota criticamente la stessa Corte dei Conti nella Relazione, infatti, per questa categoria “il decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2011, n. 74, prevede un incremento del Fondo finalizzato alla erogazione al personale di specifici emolumenti volti a compensare gli effetti del blocco degli automatismi stipendiali e delle progressioni di carriera disposti dall’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 effetti che, relativamente al 2011, risultano in tal modo pressoché completamente neutralizzati”.

Come dire che le misure contenitive della spesa pubblica incidono sugli stipendi del personale statale “privatizzato” ma non su quello per legge disciplinato ancora dal diritto pubblico.

La Corte Costituzionale, a breve, si dovrà pronunciare sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate, proprio a proposito delle limitazioni stipendiali, da diversi TAR su ricorso del personale della magistratura, con ordinanze che rilevano come le misure contenitive di cui al decreto legge 78/2010 (convertito nella legge 122/2010) siano, tra l’altro, lesive del principio di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione per i dipendenti pubblici.

Il dibattito continua.

 

Francesca Ciangola

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