Il comunicato emesso il 15 gennaio 2013, sotto la firma di un responsabile organizzativo della macchina amministrativa, che enuncia generici criteri valutativi (tra i quali pertinenza, completezza, esattezza linguistica e originalità) ai quali ogni commissione posta al vaglio del giudizio, dietro chiare delucidazioni, potrà integrare specifici indicatori eventualmente diversificati in base alle tematiche disciplinari, non sembra sufficiente a scongiurare difformità e disparità trattamentali tra un concorso e l’altro. Si necessità pertanto di un disposto normativo in grado di modificare l’attuale dettato che disciplina lo svolgimento dei concorsi pubblici, che sia altresì capace di devolvere all’amministrazione centrale le modalità di valutazione delle prove concorsuali, le quali oggi ricadono completamente sulle commissioni giudicatrici (art. 12, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 487/1994).
Al fine di ottenere omogeneità di giudizio sembra non bastare nemmeno l’identificazione dei parametri, di carattere prettamente generale, sovra citati; al contrario serve predisporre i criteri secondo una scala uniforme che ne stabilisca il giusto peso e la corretta valenza. Le pertinenza infatti viene giudicata preminente rispetto alla correttezza linguistica, mentre l’originalità pare rivestire un peso maggiore della completezza. Ma queste misure saranno uguali per tutte le commissioni? Persino adottando un analogo parametro valutativo, le votazioni potrebbero risultare difformi a seconda del diverso grado d’intersecazione tra i criteri stessi, aggravando ulteriormente la situazione la prerogativa di ogni commissione, prescritta dallo stesso comunicato, di poterli cambiare o integrare.
Stabilire una griglia di valutazione che sia univoca a livello nazionale sembra un’impresa pressochè impossibile senza un diretto e preventivo confronto con la comunità scientifica e le associazioni di categoria. I candidati sembrano, dunque, costretti a dover accettare parametri diversi a fronte di prove simili se non identiche, a seconda della commissione scrutinante preposta. E le commissioni, dal canto loro, dovranno accontentarsi, nel vaglio degli scritti, dei soli strumenti disposti al riguardo dal bando di concorso e dal vigente regolamento per le assunzioni del personale nelle pubbliche amministrazioni. La procedura di conferimento del voto, tuttavia, risulta dissimile nel comunicato del 15 gennaio rispetto a quella preventivata dal bando concorsuale. Il comunicato precisa, infatti, che per ciascuno dei tre-quattro quesiti venga attribuito un punteggio intero scalare da 0 a 10 e che la votazione complessiva venga derivata dalla somma delle votazioni conseguite per ogni domanda sino ad una soglia massima di 40 punti per le prove comprensive di quattro quesiti, e sino ad un massimo di trenta punti per quelle composte da tre domande.
Il bando, di contro, prospetta (art. 7, quarto comma) che ogni commissione assegni a ciascuna prova, giudicata complessivamente, un giudizio valutativo misurabile in quarantesimi o trentesimi e dunque non stabilisce l’assegnazione di votazioni in decimi per ciascun quesito, da sommare soltanto alla fine. La valutazione in quarantesimi o trentesimi consente un’articolazione maggiore del punteggio, anche in base ai diversi parametri utilizzati, rispetto a quella che si esprime in decimi. Resta salda l’obbligatorietà delle commissioni giudicatrici di rendere pubblici, e con dovizia di particolari, i criteri che si intende adottare.
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