Dunque la percentuale del 33% di cui il ministero si fa gran vanto è una percentuale bugiarda, perché non tiene conto degli assenti, che sono oltre il 20%, non tiene conto del fatto che quel 20% che ha preferito non presentarsi è una sconfitta per l’istruzione italiana, perché è un segnale palese di disinnamoramento di un mestiere, l’insegnante, che non è un semplice mestiere ma è, di più, una vera e propria vocazione, visto anche lo stato attuale delle strutture scolastiche nazionali e il trattamento economico riservato ai docenti dallo Stato.
Il risultato è stato positivo per il Miur perché ha visto, come sperava, crollare il dato abnorme dei partecipanti iniziali di 321.210 candidati a poco più di 88.000, quindi a quasi un terzo del totale, un numero piuttosto malleabile in prospettiva alla gestione logistica delle prove scritte e delle prove oraliche decreteranno la fine del concorso e quanti fra i concorrenti accederanno agli 11.542 posti fissi messi a disposizione. Ricordiamo che di questi posti oltre 7.000 verranno immessi in ruolo a partire da settembre 2013, il che implica che i tempi concorsuali comincino ad essere abbastanza stretti.
Analizzando nel dettaglio coloro che sono sopravvissuti alla “strage preselettiva” si può dire che il test una cosa buona l’ha fatta, ha premiato senza dubbio le fasce di candidati più giovani; infatti il numero più alto di ammessi si registra nei candidati compresi fra i 25 e i 40 anni, dopo questa età la percentuale di promossi crolla drasticamente, testimonianza che la dimestichezza con il computer e le conoscenze informatiche hanno inciso sull’esito finale.
Fra le classi di concorso quelle con le percentuali più alte di ammessi sono le classi secondarie con il 48,5% quelle di I grado e il 45% quelle di II. Sono andate decisamente peggio invece le classi dell’infanzia, con il 18,9%, e della scuola primaria, con il 22,9%. E’ vero che queste percentuali indicano una selezione, e sicuramente una scrematura delle competenze, ma è altrettanto vero che se si riflette sul fatto che per candidati con titoli e competenze di partenza così diverse c’era una prova uguale per tutti, un risultato come questo era a dir poco scontato, e per certi versi ingiusto perché penalizza coloro che hanno una preparazione più settoriale, come gli insegnanti per la scuola primaria e dell’infanzia.
A livello regionale, le percentuali di ammessi al concorso ricalcano un altro dato, ossia l’andamento dei risultati delle rilevazioni sugli apprendimenti degli studenti Ocse PISA 2009. Il tasso di ammissione dei concorrenti cresce nelle stesse zone d’Italia in cui sale la curva Ocse che evidenzia una maggiore preparazione degli studenti. Si denota dunque una correlazione palese tra la bravura degli studenti e la capacità dei candidati di superare i test, quindi tra studenti più preparati ed aspiranti docenti più preparati.
Quello che questa curva non dice però è che in certe aree geografiche l’accesso all’istruzione, soprattutto quella universitaria, può essere più difficile perché magari esistono delle condizioni economiche sfavorevoli o semplicemente per la struttura della società. I numeri non raccontano sempre una verità assoluta, ma vanno saputi leggere alla luce della realtà dei fatti, che è molto più complessa di una semplice e banale percentuale. Non è di certo un caso se le regioni con un reddito più alto hanno anche la percentuale di promossi più alta, a dimostrazione di quanto detto e di come in certi contesti permettere ai propri figli di studiare, vista la situazione attuale del Paese, sia un sacrificio fuori dalla portata di molte famiglie.
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