Concorsi a premio: una disciplina da rivedere?

Silvia Surano 25/01/13
Sempre più spesso, navigando in rete, capita di imbattersi in concorsi a premio, piccole iniziative o vere e proprie campagne di marketing che sfruttano tutto il potenziale della community online per promuovere prodotti o servizi. La corsa creativa al contest poi, ha letteralmente invaso i social network, perfetti veicoli di diffusione di questi divertenti “giochi” promozionali.

Ma come stanno le cose da un punto di vista prettamente giuridico?

La disciplina vigente è rappresentata dal D.P.R. 430/2001 che regolamenta la più ampia categoria delle manifestazioni a premio, distinte in concorsi ed operazioni a premio. Pur trattandosi di una normativa relativamente moderna, appare per molti aspetti inadeguata e necessiterebbe di una profonda rivisitazione o, per lo meno, integrazione. Numerosi, inoltre, sono i dubbi interpretativi sollevati da agenzie o aziende che vorrebbero organizzare un contest e che, troppo spesso, desistono dall’intento o incorrono in violazioni per aver compreso male la norma.

Una prima criticità è sicuramente da rinvenire nella mancanza di una distinzione tra online e offline con l’evidente conseguenza che sono del tutto ignorate le peculiarità ed i possibili risvolti connessi all’organizzazione di un contest su internet e, ancor meno, attraverso i più diffusi social networks quali Twitter, Facebook o Foursquare.

Tale “mancanza” si manifesta già leggendo l’art. 1 comma 6 del D.P.R. 430/2001 che, nel limitare l’ambito territoriale ai confini nazionali, pone già un interrogativo sulla partecipazione online e sulla difficoltà di controllare e garantire che l’adesione avvenga esclusivamente dal territorio nazionale.

Ma i problemi non si limitano a questo. Per molti, soprattutto se non assistiti da un legale o da un addetto ai lavori, è difficile capire se la propria iniziativa debba sottostare agli importanti adempimenti previsti dalla norma o, al contrario, possa essere ricompresa nei casi di esclusione di cui all’art. 6 del decreto. Per comprendere la delicatezza della questione, basta riportare alla mente l’annosa vicenda che ha viste coinvolte la Endemol Italia e la Rai in merito alla trasmissione “Affari Tuoi”, fatta rientrare per un errore interpretativo in buona fede nella esclusione di cui all’art. 6 comma 1 lettera b). La maxi multa inizialmente comminata e poi annullata, sarebbe stata tra i 2 e i 6 milioni di euro.

L’interpretazione dei casi di esclusione è infatti una delle problematiche più frequenti. Difficile è, ad esempio, comprendere fin quanto si possa ampliare il significato di “opere letterarie, artistiche o scientifiche, nonché (…) di progetti o studi in ambito commerciale o industriale” che inquadrerebbe il concorso nell’esclusione di cui all’art. 6 lettera a). Ma, per riportare un esempio molto più banale, basta guardare alla successiva lettera d) la quale prescrive che “non si considerano concorsi e operazioni a premio le manifestazioni nelle quali i premi sono costituiti da oggetti di minimo valore”, senza però fornire una definizione di “minimo valore”. Non aiuta nemmeno la Circolare Ministeriale n. 1/2002 che sul punto rimanda ad una definizione contenuta in un vecchissimo regio decreto legge (il n. 1077/1940!) che, comunque, non chiarisce la questione.

La conseguenza di tutto ciò è che sempre più spesso le aziende o le agenzie sono costretta a rivolgersi al competente dipartimento del Ministero per lo Sviluppo Economico per richiedere dei pareri ad hoc su casi specifici non espressamente disciplinati dalla norma, affidandosi all’orientamento interpretativo del Ministero stesso. Inoltre, non esiste una raccolta dei pareri accessibile agli interessati, i quali devono accontentarsi della breve selezione di FAQ pubblicata sul sito del Ministero aggiornata al 2010, e questo di certo non agevola una corretta comprensione ed applicazione della norma.

Attualmente tantissime aziende, soprattutto se non adeguatamente assistite, ignorano l’esistenza di una normativa o, comunque, non credono che debba essere applicata al proprio operato; in altri casi, invece, applicano il D.P.R. 430/2001 in maniera scorretta, rischiando sanzioni salate; per non parlare poi di tutti i casi in cui rinunciano a priori all’organizzazione di un concorso per paura di essere oggetto di segnalazione o di subire i controlli a campione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. In generale la norma viene percepita come un ostacolo in quanto poco chiara e perché, spesso, impone adempimenti troppo gravosi rispetto all’entità del concorso che si vuole realizzare.

È quindi di tutta evidenza la necessità di un intervento riporti la disciplina al passo con i tempi.

Silvia Surano

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