In ragione di questo abbiamo intervistato l’avvocato Maurizio Villani che in collaborazione con l’avvocato Sannicandro Francesca Romano, ha scritto il volume“Come difendere il contribuente dal redditometro”. L’autore ha chiarito come mai si sia propagato questo senso di paura fra i contribuenti e come possa fare a difendersi o, meglio, non cadere in errore nella dichiarazione del proprio reddito.
Qui di seguito le risposte e i consigli dell’esperto.
Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, ha duramente criticato chi ha parlato di “stato di polizia” in merito alle 100 voci del redditometro, tuttavia la sensazione di un controllo capillare si percepisce. A cosa è dovuta questa sensazione nei cittadini, solo alle novità apportate al nuovo strumento di controllo dei redditi?
La sensazione percepita dai cittadini – di trovarsi in uno stato di polizia – è dovuta al fatto che il Decreto Ministeriale 24 dicembre 2012 prende in considerazione 100 voci di spesa che riguardano le normali attività della vita quotidiana. A tal proposito, l’impianto normativo del nuovo redditometro è incostituzionale perché l’art. 38, quinto comma, del D.P.R. 600/73 è generico e rimanda ad un successivo Decreto Ministeriale per l’individuazione degli elementi indicativi di capacità contributiva. In questo modo, il succitato art. 38 è in contrasto con gli art. 23 e 53 della Costituzione, perché lascia ad un semplice atto amministrativo, qual è il Decreto Ministeriale, l’identificazione degli elementi di capacità contributiva.
Le 100 voci del redditometro analizzano praticamente ogni ambito della vita di una famiglia, gli italiani dovranno cambiare le proprie abitudini per rientrare nei parametri del redditometro, o chi non evadeva prima può semplicemente mantenere la propria routine invariata?
Alla luce di quanto appena chiarito, anche il Decreto Ministeriale è da ritenersi illegittimo per eccesso di potere, in quanto non indica le attività istruttorie compiute ed inoltre condiziona le abitudini di vita quotidiana e non certo identifica “il tenore di vita”. Di conseguenza, chi non evadeva prima, può mantenere la propria routine invariata, soprattutto se rispetta i limiti del Decreto Ministeriale.
Recentemente sono emersi parecchi dubbi sui valori espressi dalle medie degli studi Istat, il campione di 28 mila famiglie, per quanto attendibile, sembra però non essere in grado di coprire tutte le esigenze di classificazione delle restanti 22 milioni che costituiscono l’attuale popolazione. Sono stati sopravvalutati i modelli matematici di analisi oppure questo sistema funziona realmente? Consente ad ognuno di effettuare una dichiarazione trasparente?
Il Decreto Ministeriale fa riferimento, in molti casi, alla spesa media ISTAT della tipologia di nucleo familiare di appartenenza e tale generica presunzione si basa su fatti non certi, tanto è vero che non è resa pubblica la relativa istruttoria né sono identificati i criteri tenuti a base per la determinazione delle suddette medie.
Come mai alcune voci più di altre creano dei “casi” o delle ambiguità nella dichiarazione, come può essere l’esempio degli investimenti?
Il Decreto Ministeriale 24 dicembre 2012 nell’indicare i fatti indici di capacità contributiva ignora precise disposizioni costituzionali, come gli art. 42 e 47 della Costituzione che tutelano il risparmio nonché la proprietà privata. Oltretutto, a differenza del vecchio redditometro, è assurdo che gli investimenti siano tassati tutti nell’anno e non spalmati negli anni precedenti, come prevedeva la vecchia normativa.
Quali sono le aspettative dell’Agenzia delle Entrate rispetto al redditometro? In che misura, grazie a questo strumento, verrà ridotta l’evasione fiscale in Italia?
L’Agenzia delle Entrate spera di poter recuperare materia imponibile utilizzando il nuovo redditometro. A tal proposito, occorre precisare che il redditometro è una presunzione semplice qualificata, come ultimamente stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 23554 del 2012. Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate può utilizzare il redditometro solo come criterio selettivo per invitare i contribuenti all’obbligatorio contraddittorio, pena la nullità dell’intera procedura. Quando, però, il contribuente in sede di contraddittorio giustifica tutte le spese in relazione al reddito dichiarato, l’Agenzia delle Entrate, se non intende archiviare la pratica, deve motivare l’accertamento contestando le singole risposte date dal contribuente e non deve richiamare pedissequamente ed acriticamente gli elementi indicati dal Decreto Ministeriale 24 dicembre 2012.
Perché Redditest e Redditometro non sono stati pensati per poter essere realmente funzionali l’uno all’altro? E’ vero che il motore di calcolo è il medesimo ma l’analisi è radicalmente differente e soprattutto gli esiti del redditest non hanno alcun valore in sede legale difensiva, dunque come può essere il cittadino incentivato ad utilizzare uno strumento di dubbia utilità?
Il Redditest è un mero strumento di orientamento, senza alcun effetto pratico nella difesa del contribuente accertato. In sostanza, è un semplice strumento di autodiagnosi che, come tale, tiene conto solo delle spese del contribuente e non di quelle che risultano dai dati disponibili o presenti in anagrafe tributaria. Infine, il Redditest non è disciplinato da nessun testo normativo e attiene all’autodiagnosi che i contribuenti possono effettuare a partire dall’anno d’imposta 2011, in contrasto con il nuovo redditometro che opera per i periodi d’imposta dal 2009 e seguenti.
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