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Il caso ripotato nella sentenza già citata, prende spunto dalla sentenza del 07.05.2014 il G.u.p. del Tribunale di Campobasso applicava ex articolo 444 c.p.p. la pena di mesi sei di reclusione, per il reato di cui all’articolo 495 c.p., per aver compilato o fatto compilare il modulo trasmesso alla polizia di Stato di Campobasso – di comunicazione dati del conducente riportante le generalità strumentalmente indicando nel proprio interesse, al fine di evitare la decurtazione dei punti sulla patente, ovvero l’applicazione di una sanzione pecuniaria per l’omessa comunicazione, tale soggetto estraneo quale conducente, invece, del veicolo, destinatario ai sensi dell’articolo 142 C.d.S., comma 8 di due verbali elevati dagli agenti di P.S. e a lui notificati quale proprietario del veicolo.
Il ricorso, secondo la Corte di Cassazione è fondato.
- Ed invero, la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti all’esito dell’applicazione della pena di mesi sei di reclusione, per il reato di cui all’articolo 495 c.p. non ha dichiarato la falsità del modulo trasmesso alla polizia di Stato di Campobasso- di “comunicazione dati del conducente” oggetto del reato. Il P.G. lamenta tale omessa declaratoria, richiamando in sostanza un orientamento di legittimità che ritiene applicabile anche alla sentenza di patteggiamento il disposto di cui all’articolo 537 c.p.p., commi 1 e 4, sul presupposto che la sentenza pronunciata sull’accordo delle parti è da equipararsi ad una sentenza di condanna (cfr. Cass. n. 45861/2012, Rv. 254989).
- Con tale orientamento, integralmente condiviso da questo Collegio, è stato affermato il principio – che si richiama nuovamente in questa sede ed al quale si ritiene di dare continuità – secondo cui, in ipotesi di sentenza di patteggiamento che abbia omesso di dichiarare la falsità di un documento, la Corte di Cassazione può adottare direttamente i provvedimenti previsti dall’articolo 537 c.p.p., non occorrendo alcuna valutazione di merito per una declaratoria che la legge pone come effetto inevitabile della sentenza di condanna, a cui è equiparabile la sentenza di applicazione della pena su accordo delle parti (Sez. 5, n. 7477 del 21/01/2014; Sez. 5, n. 20744 del 01/04/2014).
3.Tale convincimento muove dall’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. 20/1999, Rv. 214638) che, nello statuire che con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – decisione equiparata ad una sentenza di condanna dall’articolo 445 c.p.p., comma 1, ultima parte – il giudice è tenuto a dichiarare, ai sensi dell’articolo 537 c.p.p., comma 1, l’accertata falsità di atti o di documenti, ha pure precisato che la dichiarazione di falsità prescinde dall’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, essendo fondata esclusivamente sull’accertamento – che si rende possibile anche nel giudizio speciale di patteggiamento, pur nei limiti di una cognizione allo stato degli atti – della non rispondenza al vero dell’atto o del documento.
Le Sezioni Unite hanno testualmente osservato che anche in tale giudizio “la necessità dell’accertamento del fatto è inderogabilmente postulata, oltre che nell’ottica dell’applicazione di cause di non punibilità, tanto ai fini del controllo dell’esattezza della qualificazione giuridica, che si attua attraverso la verifica della corrispondenza del fatto accertato con la fattispecie legale, quanto ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie”, con la conseguenza che “l’accertamento del fatto contenuto nella sentenza di applicazione della pena concordata può costituire, dunque, idonea base giustificativa della pronuncia dichiarativa, della falsità di atti o di documenti”. Pertanto, se l’accertamento del fatto, e, quindi della non rispondenza al vero dell’atto, o del documento in caso di reato di falso, è insito nella pronuncia di applicazione della pena su richiesta, non è dato comprendere quali ulteriori motivazioni implicanti valutazioni di merito a sostegno della ritenuta falsità, precluse a questa corte, sarebbero riservate al giudice dell’esecuzione (Sez. 5, n. 7477 del 21/01/2014).
- Nel caso di specie, pertanto, il giudice di merito risulta aver accertato il fatto, attraverso l’esclusione delle cause di non punibilità e verificato la corretta qualificazione giuridica di esso, sicché la falsità del predetto modulo, non dichiarata nella sentenza oggetto di ricorso, può e deve essere dichiarata in questa sede. L’annullamento in parte qua della sentenza impugnata va, pertanto, pronunciato senza rinvio, contestualmente dichiarandosi la falsità del modulo in questione (Sez. 5, n. 7477 del 21/01/2014; Sez. 5, n. 20744 del 01/04/2014).
La Corte di Cassazione così ha deciso: “annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla omessa declaratoria di falsità del modulo di comunicazione di cui all’imputazione, falsità che dichiara”.
Questa sentenza rileva che il falso non è in capo al fine della decurtazione dei punti della patente di guida, ma bensì la dichiarazione falsa, resa ad un pubblico ufficiale, indipendentemente dal fatto per il quale il soggetto è stato sanzionato.
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