Appalti&Contratti ha sempre (da almeno 10 anni) denunciato tra i mali del sistema degli appalti in Italia l’iperregolamentazione che lo affligge e che è nel contempo il brodo di coltura dei fenomeni di mala gestio che l’ipertrofia normativa, con le sue mille pieghe, finisce per celare se non agevolare.
Non saremo quindi noi a stracciarci le vesti per l’annunciata, secondo fonti di stampa, intenzione dei redattori del nuovo codice dei contratti (e prima ancora della relativa legge delega) di non prevedere questa volta un regolamento di attuazione, per lasciare campo alla cd. “soft law” rappresentata dalle indicazioni (con varie denominazioni) dell’Autorità di settore (cioè l’Anac).
Chi scrive, pur non essendo Matusalemme (anche se, pur di pochi anni, più anziano dell’attuale Premier), ricorda, come abbiamo già avuto modo di rammentare su queste pagine web, come un’epoca felice quella in cui, ad esempio, in materia di servizi e forniture si dovevano maneggiare soltanto due decreti legislativi di recepimento delle rispettive direttive europee, oltre a qualche norma di contabilità di Stato ancora applicabile.
E’ un dato storico che a quei tempi gli appalti si potevano fare onestamente oppure no, esattamente come oggi.
Il problema è che al vero e proprio tsunami normativo che travolse quell’impianto ha concorso, non solo il regolamento attuativo che si pensa oggi di non riproporre, ma anche e soprattutto:
– tutta la produzione (tra l’altro le più delle volte relegata dalla giurisprudenza amministrativa al rango di circolare, quindi non vincolante) dell’allora Avcp, spesso ben oltre le attribuzioni della stessa definite normativamente;
– un approccio del legislatore al tema della semplificazione che ha condotto ad una ben nota eterogenesi dei fini;
– tutta una serie di disposizioni extra codicem ed extra regolamento che hanno “caricato” l’appalto pubblico di esigenze esogene (dalla riscossione dei contributi previdenziali a quella dei tributi, alla tracciabilità finanziaria, alla trasparenza “totale”, ecc.ecc.).
Da ciò, il proliferare di una sequenza micidiale di adempimenti pesantemente imposti agli operatori economici ma soprattutto alle amministrazioni, vere “vittime” della fase storica 2006-2015, nella quale non a caso le istituzioni comunitarie hanno avuto facile gioco a rilevare un peggioramento della performance burocratica del ns. Paese in materia, e nella quale a sua volta i fenomeni di cui sopra, e più in generale una certo non eccelsa qualità realizzativa degli appalti, hanno sicuramente prosperato.
Non ultima, la stessa centralizzazione degli acquisti ha fatto fiorire un ginepraio inestricabile di rapporti e di provvedimenti, tra stazioni appaltanti unificate che aggiudicano e amministrazioni attuatrici che attivano e gestiscono i contratti.
Ad es.: qualcuno, dove si prendono le decisioni, lo sa che ciascun ente sanitario che aderisce ad una gara regionale farmaci deve generare, oltre ai 2000 (!) cig acquisiti in gara – uno per ogni lotto – altri 2000 cig derivati ciascuno (!) che servono a gestire la fornitura e che debbono essere riportati in fattura elettronica, uno diverso per ogni prodotto farmaceutico e per ogni ente che lo acquista?
Tremiamo, sinceramente, all’idea di cosa possa succedere al 1° gennaio 2016 quando troverà (?) implementazione l’integrale (?) conferimento di tutti (?) gli appalti dell’italica Penisola ai 30 (?) “soggetti aggregatori” (notiamo incidentalmente che ci è voluto più di un anno solo per definire l’elenco di tali soggetti, in realtà sostanzialmente già recato dalla legge, la 89/2014).
Il tutto, ma è superfluo rimarcarlo, senza che nessun sistema informativo necessario allo scopo dialoghi realmente con gli altri e senza quindi che la p.a. nel suo complesso sia attrezzata adeguatamente (e neanche minimamente) ad una simile “rivoluzione copernicana” (sul solo Avcpass ci siamo dovuti, recentemente, ricredere, in quanto ad un utilizzo effettivo, certamente dopo sue molte modifiche, si è dimostrato in definitiva più semplice ed efficiente del temuto).
Quindi, ci permettiamo di dire, non si tratta di sostituire il regolamento (che comunque è una fonte normativa) con le determinazioni dell’Anac (che comunque non lo sono).
Il regolamento, infatti, si noti incidentalmente: 1) non disciplina solo aspetti procedurali, che comunque necessitano di norme positive, in quanto il diritto amministrativo in questo consiste, in disposizioni che circoscrivono ed delimitano la discrezionalità dell’amministrazione, a tutela del cittadino; 2) ma contiene norme sostanziali – di cd. diritto civile speciale – ad es. sulla stipula contrattuale e sull’esplicazione della fase esecutiva, che ben difficilmente potranno trovare la propria “fonte” in una determina Anac (e che nel “giro” precedente erano stati oggetto anzi di una elevazione di rango, da capitolato generale a regolamento).
Il tema è invece, come si suol dire, più “a monte”, ossia è quello di una radicale semplificazione, al di là degli strumenti adottati.
E comunque auspicabilmente partendo, non dalle norme, ma da una vera e propria reingegnerizzazione e informatizzazione di tutto il ciclo dell’appalto: non ci stancheremo mai di dire che, comprendiamo per certi aspetti le aggregazioni, ma il ciclo dell’appalto e della fornitura (la supply chain) è unitario, dalla progettazione all’affidamento alla gestione, e quindi averlo “spezzettato” senza governance in più plessi amministrativi è stato, da questo punto di vista, un errore strategico, fonte tra l’altro di deresponsabilizzazioni reciproche tra detti plessi.
Sullo stesso ruolo e modus operandi dell’Anac continuiamo a nutrire perplessità, perché, al di là del cambio di passo e di focalizzazione su alcuni temi più macroscopici (era ora), ci sembra ad onor del vero che si ripropongano alcuni sbagli del passato.
In primo luogo il volersi continuare ad occupare pervasivamente di “tutto” (e quindi in realtà di nulla) ed anzi (secondo le previsioni) “rafforzando” alcune (secondo noi) erronee possibilità di intervento (in primis il cd. precontenzioso) rimesse peraltro ad una “soft law” prodotta dalla stessa Autorità.
Alla fine, è rilievo banale che anche la nuova direttiva “generale” consta di meno di 90 articoli e non rinvia a nessun provvedimento attuativo (se non al recepimento da parte degli Stati, che potrebbe anche avvenire “tal quale”).
Da qui due (modeste) proposte finali, per prevenire problemi in cui pur meritorie commissioni ristrette potrebbero incorrere:
– non fare nulla (cd. opzione zero) e attendere la scadenza del termine per il recepimento, oltre le quali le nuove direttive saranno comunque self-executing;
– sottoporre il nuovo codice (e prima ancora la legge delega), prima della loro adozione, ad un’ampia consultazione pubblica (tramite ad es. il sito internet dell’Anac), alla quale nel ns. piccolo non mancheremmo certo di contribuire.
Ci piacerebbe, intanto, ricevere riscontro da qualche soggetto istituzionale a queste pur brevi, insufficienti e opinabili considerazioni (in tanti anni, non è mai avvenuto, nemmeno ai nostri appelli più accorati).
Appalti & Contratti è la rivista Internet in abbonamento, diretta dall’avv. Alessandro Massari, interamente dedicata alla informazione giuridica sulla contrattualistica ed appaltistica pubblica.
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