Nel caso di specie due contraenti stipulavano un contratto di fornitura di gas e di concessione in comodato di un impianto costituito da un serbatoio e dalle attrezzature accessorie, in funzione della relativa immissione del gas oggetto della fornitura.
La parte convenuta in forza di una clausola si obbligava a consentire il collocamento dell’ impianto sul suo immobile e a non rimuoverlo senza il consenso dell’ attrice;
La durata del contratto veniva pattuita per 2 anni con previsione di tacito rinnovo per uguale periodo, in mancanza di disdetta a favore di ognuna delle parti, da inviarsi 3 mesi prima della scadenza, mentre il recesso veniva stabilito, sempre a favore di ognuna, per sopravvenuti ed imprevedibili gravi motivi;
Sulla base di ciò la società attrice chiedeva l’ accertamento sul contratto, se esso si era rinnovato tacitamente per il 2 biennio della durata e che la parte convenuta era inadempiente avendo proceduto alla rimozione ed al distacco dell’ impianto, e di conseguenza domandava la declaratoria della risoluzione del contratto per il duplice inadempimento della convenuta, rappresentato dalla rimozione dell’ impianto e dalla cessazione della fornitura, e la condanna al risarcimento del danno da lucro cessante e danno emergente.
Il giudice di pace ritenne fondata la domanda di risoluzione del contratto e riconosceva parzialmente il lucro cessante.
La sentenza veniva impugnata dall’ utente dinanzi al Tribunale di Bari che riformava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda proposta con gravame di spesa.
Il soccombente proponeva ricorso in Cassazione.
Analizzando la sentenza si apprende che la ricorrente denunciava col primo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1369 c.c. in relazione all’ art. 360 n. 3 c.p.c. in quanto il Tribunale avrebbe ricondotto il rapporto contrattuale intercorso tra le parti alla figura del collegamento negoziale e non come aveva fatto il Giudice di Pace, a quella del contratto misto che se considerato avrebbe dovuto reputare applicabile la disciplina del contratto di somministrazione.
Al successivo punto 2 si eccepiva inammissibilità della motivazione nella parte in cui il Tribunale non si discostava dalla decisione del Giudice di Pace, e pertanto non diretto ad ottenere un effetto specifico e particolare sulla decisione adottata.
Sulla questione i giudici di legittimità così stabilirono: “pur se una clausola, predisposta unilateralmente, non è a carico soltanto dell’altro contraente, avendo effetto per entrambe le parti – nella specie tacita proroga o rinnovo del contratto in difetto di tempestiva disdetta – non perciò è sottratta alla necessità di specifica approvazione per iscritto, ai sensi dell’art. 1341 cod. civ., perché comunque colui che la propone ha preventivamente valutato i vantaggi derivantegli dalla accettazione di essa, a differenza del contraente per adesione, che perciò è necessario vi ponga particolare attenzione” (Cass. n. 2152 del 1998)” (Cass. 12 ottobre 2015 n. 20402).
Ne consegue che se nell’accordo è inserito la clausola che preveda una proroga tacita in caso di mancata disdetta la stessa sarà valida se approvata per iscritto dalla contraparte.
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