Class action e associazioni di consumatori

Dario Reccia 17/05/11
Con ordinanza del 28 aprile scorso, il Tribunale di Torino ha dichiarato inammissibile la class action proposta da alcuni consumatori per il tramite di un’associazione consumeristica contro un noto gruppo bancario italiano.

L’azione dei consumatori mirava a far dichiarare nulla la clausola relativa alla commissione di massimo scoperto applicata dalla banca nei confronti della propria clientela; tuttavia il Tribunale, senza scendere nel merito della questione, ha bloccato a monte la class action a causa di un vizio della procura conferita dai consumatori all’associazione rappresentativa dei loro interessi.

Secondo il Giudice, la procura conferiva all’associazione esclusivamente poteri di rappresentanza processuale in violazione del principio contenuto all’art. 77 c.p.c., in forza del quale non è possibile attribuire poteri di rappresentanza processuale ad un soggetto se lo stesso non è munito dei corrispondenti poteri di rappresentanza sostanziale.

La decisione appare francamente discutibile nella misura in cui non sembra fare corretta applicazione delle regole in materia di rappresentanza processuale.

Se è vero infatti che l’art. 77 c.p.c. è ricognitivo di un principio di ordine generale, occorre però ricordare che tale regola viene derogata da disposizioni di carattere speciale, contenute nello stesso codice di rito.

Al riguardo si pensi all’art. 317 c.p.c. relativo ai giudizi dinanzi al giudice di pace : tale disposizione è interpretata nel senso di consentire alla parte di farsi rappresentare in giudizio da chiunque, senza la necessità di conferire al rappresentante processuale poteri di rappresentanza sostanziale.

Lo stesso accade nell’ipotesi delle azioni di classe disciplinate dall’art. 140 bis del Codice del consumo, il cui primo comma prevede espressamente: “ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità o per la condanna al risarcimento del danno o alle restituzioni”.

Il legislatore, tenuto conto degli oneri organizzativi ed economici che inevitabilmente si accompagnano a una class action, ha dato la possibilità ai consumatori intenzionati a proporla di farsi rappresentare in giudizio da associazioni in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe, senza la necessità che i poteri di rappresentanza processuale seguano quelli di rappresentanza sostanziale.

Diversamente opinando, infatti, la disposizione contenuta nel Codice del consumo non avrebbe alcun significato: è evidente che in base alla regola generale contenuta nell’art. 77 c.p.c. i consumatori avrebbero già potuto farsi rappresentare in giudizio da qualsivoglia associazione munita di poteri di rappresentanza sostanziale, ed, al riguardo, non vi sarebbe stata la necessità di alcuna specifica previsione.

Il legislatore, invece, dopo aver individuato nelle associazioni consumeristiche i soggetti più idonei per la gestione di una class action, ha conferito ai consumatori la possibilità di farsi rappresentare da queste ultime con una disposizione speciale in deroga al principio generale enunciato dall’art. 77 c.p.c.

Il Giudice di Torino è quindi incorso in un errore esegetico, lì dove, ritenendo che la disposizione contenuta nel Codice del consumo fosse pleonasticamente ripetitiva del principio già espresso dall’art. 77 c.p.c., non ne ha colto il carattere speciale e derogatorio rispetto alla regola generale in materia di rappresentanza processuale.

Dario Reccia

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