Il sorriso di chi ha subito azioni esecutive, però, è subito smorzato poiché dalla suddetta data l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale è attribuito all’Agenzia delle entrate ed è svolto dall’ente strumentale pubblico economico denominato “Agenzia delle entrate – Riscossione”.
Nulla cambia dal punto di vista sostanziale: restano immutate le regole vigenti relative alla cartella di pagamento cioè il conteggio degli interessi, la mora e il “famigerato” aggio di riscossione che ha superato indenne l’ultimo test di illegittimità.
Con l’ordinanza 26 maggio 2017, n. 129, la Corte costituzionale ha dichiarato “la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del d.lgs. 13/4/1999, n. 112” sollevate con le ordinanze del 29/5/2014 della Commissione tributaria provinciale di Cagliari, del 7 luglio 2014 di quella di Roma e del 23 novembre 2015 di quella di Milano.
In pratica, supponendo un debito per Irpef non pagata, le somme aggiuntive di riscossione sono così articolate, con versamento effettuato entro 60 giorni dalla data di notifica:
- a) sanzione 30%;
- b) interessi per ritardato pagamento 4% annuo;
- c) aggio 3%, conteggiato non solo sull’imposta ma anche sulle sanzioni e gli interessi.In pratica, l’importo di € 1.000 di imposta non pagata comporta un debito ulteriore di € 380,20.
Se, invece, il versamento è fatto successivamente, l’aggio sale dal 3% al 6% e vengono conteggiati gli interessi di mora (sulla sola imposta ma con decorrenza dalla data della notifica) del 3,5% annuo.
In entrambi i casi c’è anche l’addebito sulle spese di notifica della cartella di pagamento nella misura di € 5,88.
Ma, sempre dal 1° luglio, l’art. 3, comma 1, del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, legittima “Agenzia delle entrate – Riscossione” ad accedere e ad utilizzare le banche dati e le informazioni cui può disporre l’Agenzia delle entrate, compresi i rapporti di lavoro e di impiego, ai fini della riscossione.
In pratica, il sostituto di Equitalia ha libero accesso all’anagrafe tributaria, alle banche dati dell’INPS e ai rapporti bancari, possibilità che fino al 30 giugno 2017 era ammessa solo per l’Agenzia delle entrate e, quindi, ai soli fini dell’accertamento.
Di conseguenza, l’accesso è immediato alle banche dati al fine di verificare il patrimonio del debitore sul quale l’amministrazione finanziaria può rivalersi per riscuotere i propri crediti.
Pertanto, il contribuente necessariamente deve adire al contenzioni tributario per ottenere ragione e, soprattutto, per riottenere la disponibilità delle somme già versate, in un quadro che assomiglia sempre di più all’istituto di “solve et repete”.
Inoltre, l’apertura anche ai dati dell’INPS permette un rapido avvio della procedura di pignoramento di stipendi e somme collegate.
Non va dimenticato che la “semplice” cartella di pagamento non è solo un atto di riscossione ma è anche un atto esecutivo contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo entro il termine di 60 giorni dalla data della notificazione (che, nei confronti di imprese individuali, società o professionisti iscritti in albi o elenchi va fatta a mezzo posta elettronica certificata) con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà all’esecuzione forzata.
A ciò va aggiunto il nuovo contenuto dell’art. 76, comma 2, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, secondo cui l’agente della riscossione non procede all’espropriazione immobiliare se il valore dei beni (e, non più “del bene”, ha per effetto della modifica recata con l’art. 8, comma 4, del d.l. 24 aprile 2017, n. 50) non supera l’importo di € 120.000.
Pertanto, se il contribuente non paga la cartella esattoriale, riceve l’avviso secondo cui l’omesso adempimento entro il termine di 30 verrà iscritta l’ipoteca sul bene immobile, fatta eccezione per l’abitazione principale. Ad esempio, se l’interessato è comproprietario di più immobili del valore complessivo (anche se per quota) superiore al limite di soglia suddetto, è possibile iscrivere l’ipoteca e procedere alla vendita coattiva.
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