Si tratta di una forma di accentramento della gestione delle gare ad evidenza pubblica, introdotta dal legislatore per razionalizzare la spesa pubblica.
La ratio della norma è quella di eliminare taluni costi inutili connessi alla frammentazione tra i piccoli Comuni della fase procedimentale di acquisizione di lavori, servizi e forniture.
Il d.l. n. 201/2011 (come convertito con modificazioni dalla l. n. 214/2011) aveva previsto tale obbligo modificando l’art. 33 del D. Lgs. n. 163/2006, aggiungendo il comma 3 bis, per i Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia.
Con le modifiche apportate dal d.l. 66/2014 (conv. L. 89/2014) e dalla L. 114/2014 (di conversione del d.l. 90/2014) l’obbligo si estende a tutti i Comuni non capoluogo di Provincia.
Il comma 3-bis recita: I Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni … ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l’obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione
L’ambito intercomunale funzionale all’istituzione della centrale di committenza sono, quindi, le Unioni di Comuni e speciali (“appositi”) accordi consortili tra Comuni, e quindi, secondo condivisa interpretazione, convenzioni istitutive di una centrale di committenza.
I singoli Comuni non capoluogo di Provincia non avranno più la qualifica di “amministrazione aggiudicatrice”.
Il comma 25 dell’art. 3 del Codice degli appalti (D.Lgs. 163/2006) inserisce tra le amministrazioni aggiudicatrici le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.
Laddove vige l’obbligo dell’associazione obbligatoria e l’Unione è già esistente, l’obbligo di costituzione della centrale unica di committenza graverà in capo ad essa.
In tal caso spetterà all’Unione dare vita ad un proprio ufficio qualificato di committenza (un servizio), attraverso l’esercizio del proprio potere regolamentare.
Nel caso in cui l’Unione non sia ancora sorta, l’onere di costituire la centrale unica di committenza graverà sui singoli Comuni, che dovranno stipulare, previa deliberazione del Consiglio comunale, un accordo consortile e quest’ultimo dovrà istituire un ufficio di committenza.
Il legislatore ha dato priorità alle Unioni, ove esistenti, mentre l’accordo consortile è previsto in subordine.
I Comuni, per espletare le gare di acquisto di beni e servizi, possono optare per le seguenti modalità:
• tramite Unioni di Comuni (se esistenti, ovvero accordi consortili)
• tramite soggetto aggregatore
• tramite Province
• tramite Consip e Mepa.
I Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti possono procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di importo inferiore ad € 40.000.
La normativa sulle centrali di committenza parla di “accordi consortili” nel senso di accordi di natura consortile ma non propriamente istitutivi di un Consorzio (rectius, accordi convenzionali). I Comuni, pertanto, non hanno l’obbligo di istituire un Consorzio, al quale spetterebbe successivamente la competenza a creare una propria centrale di committenza, ma hanno più semplicemente l’obbligo, attraverso una convenzione approvata in Consiglio comunale, di istituire e disciplinare la centrale di committenza.
Questa interpretazione, ormai accettata, ha certamente il pregio di evitare la costituzione di ulteriori organi consortili e con essa le relative spese.
Va ricordato che con la legge finanziaria 2010, il legislatore nazionale, sempre per contingentare la spesa pubblica, ha previsto la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli Enti locali (art. 2, 186° comma, lett. e, l. n. 191/2009).
In tale proposito si è pronunciata a Corte dei Conti Umbria, con parere n. 112 del 4 giugno 2013.
L’art. 33, comma 3-bis, non chiarisce, però, se le funzioni dell’Unione debbano limitarsi all’espletamento delle procedure di gara (schema della stazione unica appaltante) ovvero a gestire in maniera unificata il fabbisogno di tutti i comuni dell’Unione.
Secondo autorevole dottrina, l’obbligo riguarda unicamente le procedure di gara (ufficiale ed ufficiosa) per assicurare massina trasparenza.
L’obiezione è, però, quella che lo schema della stazione unica appaltante non determina il formarsi di una massa critica e non consente di ottenere economie di scala e, quindi, risparmi di spesa.
La lettera della norma conduce verso una Centrale Unica Appaltante che è cosa diversa dalla Stazione Unica Appaltante.
E’, però, condivisibile l’osservazione di Alessandro Massari («Gli acquisti sul Mepa», Maggioli editore) che se fosse assoggettata la generalità delle decisioni di spesa s’introdurrebbe un obbligo surrettizio di conferimento di tutte le funzioni alla forma associata, con una «burocratizzazione» delle procedure di spesa.
Secondo il Tar Abruzzo (L’Aquila, sezione I, sentenza 16 ottobre 2014, n. 721) i Comuni aderenti ad una centrale unica di committenza sono meri beneficiari della procedura di gara espletata dalla Cuc.
L’imputazione formale degli atti di gara non può che ricadere sulla Cuc, contradditore necessario, in quanto competente in via esclusiva dell’indizione e dello svolgimento della gara.
Il Tar ha osservato che anche qualora la CUC sia stata costituita tramite convenzione e non abbia una propria individualità, la notifica del ricorso in sede giurisdizionale va effettuata quantomeno anche alla CUC.
Ovviamente il principio vale anche, o soprattutto, per le Unioni di comuni.
La costituzione di una centrale di committenza unica, non sembra sottrarre ai piccoli Comuni né la fase (“a monte”) della programmazione e della scelta discrezionale dei lavori, delle opere e delle forniture da acquisire, né la fase (“a valle”) della stipulazione del contratto, salvo un’espressa delega anche di quest’ultima fase.
Rispetto alle Regioni a statuto speciale, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 220 del 3 luglio 2013, è stata chiamata a pronunciarsi (su impugnativa del Friuli Venezia Giulia) sull’applicabilità dell’art. 23, comma 4, del D.L. n. 201/2011 che introduce il comma 3-bis all’art. 33 del D. Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti).
La Corte Costituzione ha escluso l’applicabilità della norma alle Regioni a statuto speciale, proprio in forza del combinato disposto dell’art. 4, comma 5, e dell’art. 33 del D.Lgs. n. 163/2006.
Il comma 5 dell’art. 4 del D.Lgs. n. 163/2006 stabilisce che Le Regioni a statuto speciale… adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.
La Regione Sicilia aveva, però, già adeguato la propria normativa in materia di appalti con la l.r. n. 12 del 12 luglio 2011.
L’art. 1 della l.r. n. 12/2011 prevede, infatti, che a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge… si applicano nel territorio della Regione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163… e le sue successive modifiche ed integrazioni ed i regolamenti in esso richiamati e s.m.i..
Il codice dei contratti, in materia di centrali uniche di committenze, prevede, però, che i Comuni possano optare anche per l’affidamento della gestione delle gare alle Province.
La legge n. 56/2014 (cosiddetta legge Delrio) prevede al comma 44, lettera c, che “d’intesa con i comuni interessati, la città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione unica appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive”; mentre al comma, 88 prevede che “La provincia può, altresì, d’intesa con i comuni esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione unica appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive”.
La Delrio non trova applicazione in Sicilia, dove le Province sono state abolite (leggi regionali n. 7/2013 e n. 8/2014).
Non essendo ancora completato il percorso di riforma dell’architettura istituzionale in Sicilia e non essendo state definite funzioni di città metropolitane e liberi consorzi di comuni, rispetto agli enti locali del resto d’Italia, i comuni siciliani non possono, quindi, attualmente usufruire di due importanti modalità di espletamento delle gare pubbliche ed in particolare delle funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione unica appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive, da parte di città metropolitane e province (oggi denominate liberi consorzi).
Sarebbe, quindi, opportuno che l’obbligo di ricorrere alle centrali uniche di committenze per i comuni siciliani, non capoluogo di provincia, decorra dal momento in cui la normativa regionale concederà le stesse opzioni offerte agli enti locali del resto d’Italia, ed in particolare di potersi servire dell’attività di città metropolitane e liberi consorzi.
Inoltre, in Sicilia opera l’Ufficio regionale per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici (UREGA), già istituito con l’art. 7 ter della L.r. 2 agosto 2002, n. 7 (ora abrogato) e regolato dall’art. 9 della L.r. 12 luglio 2011, n. 12 nonché dall’art. 15 del Decreto Presidenziale 31 gennaio 2012, n. 13 (Regolamento di esecuzione ed attuazione).
La vigente normativa sulle centrali uniche di committenza non tiene conto che l’UREGA espleta gare per appalti di lavori con importo, a base d’asta, superiore a € 1.250.000,00, e che, in Sicilia, è data facoltà agli Enti appaltanti di avvalersi, in conformità a richiesta motivata, dell’Ufficio, indipendentemente dall’importo dell’appalto.
La normativa regionale in materia di centrali uniche di committenze dovrebbe, quindi, essere armonizzata anche con la vigente normativa in materia di Urega.
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