C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria

Angela Bruno 06/10/12
In prossimità dell’udienza di Cassazione, si è appreso che Sallusti era stato condannato a 14 mesi di reclusione. Sennonché, subito dopo la conferma della sentenza della Corte di Appello di Milano, si è addirittura annunciata la morte della libertà di opinione: un bavaglio imposto dai giudici, e anche dal legislatore, che se ne fregano dell’art. 21 della Costituzione, nei confronti dei giornalisti che hanno il dovere e il diritto di informarci.

Io che sono per la libertà di stampa e che mi arrabbio quando la giustizia resa in nome del popolo italiano condanna innocenti e assolve delinquenti, ho cercato di capire cosa c’è nell’aria.

E con pazienza, e ci vuole pazienza, ho ascoltato il coro dei giornalisti.

Feltri: «La responsabilità oggettiva è un assurdo, il diffamato deve essere risarcito dal punto di vista economico, non mandando in galera la gente. Non me la prendo con i giudici, perché applicano la legge e la legge dà loro strumenti importanti, che vanno dal temperino al mitra».

Mauro: « Non si può andare in galera per un’opinione anzi per il mancato controllo su un’opinione altrui. E’ una decisione che deve suscitare scandalo».

De Bortoli: «E’ davvero molto grave che si arrivi ad ipotizzare il carcere per un collega su un cosiddetto reato d’opinione, è un momento molto basso della nostra civiltà giuridica».

Mentana: «Sarebbe clamoroso se Sallusti, dopo tutti i pronunciamenti che ci sono stati, dal Quirinale in giù, andasse in carcere. Spero e credo che non ci vada».

Mimun: «Si trovano sempre codicilli per evitare la galera a mafiosi conclamati, pusher, pirati della strada che provocano stragi sotto l’effetto di droghe, assassini e stupratori. Ma quando si tratta di mettere in galera un giornalista che non fa parte del coro, non c’è alcuna remora».

Un tantino fuori dal coro, Travaglio: «Ci vorrebbe una legge che aiuti a distinguere tra quelli che raccontano balle, mentendo sapendo di mentire e quelli che esprimono opinioni sgradite, che oggi purtroppo sono nello stesso calderone».

Napoletano: «Per la civiltà giuridica del nostro paese è gravissimo che sia possibile condannare al carcere chi esprime una opinione. Simili decisioni non appartengono alla cultura di questo paese».

Dello stesso tenore la federazione nazionale della stampa italiana, che si appella a colleghi e colleghi direttori perché accanto ai loro editoriali compaiano spazi bianchi in prima pagina come segni tangibili di protesta, per la cancellazione di una norma illiberale che punisce con la galera le opinioni.

Infine l’ordine dei giornalisti: «Un’intimidazione a mezzo sentenza, un’intimidazione a tutti i giornalisti… Ogni organo di informazione vivra’ questa decisione come una intimidazione. E il costo maggiore lo pagheranno i cittadini che avranno una informazione ancora meno libera».

Ho ascoltato anche un piccolo coro di politici.

Santanchè: «Questo Paese fa schifo e spero che gli italiani se ne rendano conto, aprano gli occhi e scendano in piazza perché abbiamo davvero raschiato il fondo».

La Russa: «lascia di stucco la decisione della Cassazione che ha disatteso anche le stesse conclusioni del procuratore generale e ha confermato l’incredibile condanna».

Storace: «Sallusti in galera è una notizia spaventosa. E’ da auspicare che il Quirinale e il ministero della Giustizia istituiscano e concludano con immediatezza nelle prossime ore una pratica per la grazia».

Ghedini: «la condanna definitiva al carcere di un giornalista per un reato di opinione dimostra in modo incontrovertibile lo stato della giustizia italiana e riconferma l’urgente necessità di una riforma globale che eviti il ripetersi di accadimenti siffatti. E’ auspicabile che governo e parlamento intervengano in tempi rapidissimi sulla materia».

Ho ascoltato l’offeso e l’offensore e la Cassazione.

Cocilovo: «Prendo atto della decisione della Cassazione… A me interessava che fosse ristabilita la verità e non credo saremmo arrivati a questo punto se il quotidiano avesse pubblicato anche solo un trafilietto in cui riconosceva che si trattava di una notizia infondata, cosa che in sei anni non ha fatto».

Sallusti: «Non chiederò la pena alternativa dell’affidamento ai servizi sociali per sottopormi a un piano di rieducazione. Perché sono certo che mio padre e mia madre…sarebbero orgogliosi di me e di loro». Il santo Sallusti non accetta compromessi!

Cassazione: «è opportuno precisare aspetti della questione che non sono stati esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi. In particolare emerge dalle sentenze dei giudici di merito che: a) la notizia pubblicata dal quotidiano diretto dal dott. Sallusti era falsa (la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo cio’ ad una sua autonoma decisione, e l’intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest’ultimo la decisione presa; b) la non corrispondenza al vero della notizia (pubblicata da ‘La Stampa’, il 17 febbraio 2007) era gia’ stata accertata e dichiarata lo stesso giorno 17 febbraio 2007 (il giorno prima della pubblicazione degli articoli incriminati sul quotidiano ‘Libero’) da quattro dispacci dell’agenzia Ansa… e da quanto trasmesso dal TG3 regionale e dal radiogiornale (tant’e’ che il 18 febbraio 2007, tutti i principali quotidiani tranne ‘Libero’ ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini)”; c) la non identificabilità dello pseudonimo ‘Dreyfus’ e, quindi, la diretta riferibilita’ del medesimo al direttore del quotidiano».

Che confusione!

Ho cercato di ricostruire la vicenda attraverso i fatti e le sentenze evitando, per quanto possibile, le metafonti.

Gli articoli sono due, comparsi il 18 febbraio 2007 sul quotidiano “Libero”, uno firmato dal giornalista Monticone, l’altro con lo pseudonimo Dreyfus, attribuito a Sallusti. Due i reati, diffamazione e omesso controllo. E due le sentenze, tribunale monocratico di Milano 5611/2008 del 26 gennaio 2008 e Corte di Appello di Milano, sezione prima penale, 2516 del 17 giugno 2011.

Dall’articolo a firma di Dreyfus «… Un magistrato ha allora ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto – il diritto! Decretando l’aborto coattivo. Salomone non uccise il bimbo, dinnanzi a due che se lo contendevano; scelse la vita, ma deve essere roba superata, da antico testamento” “Si sentiva la mamma. Era mamma. Niente Kaput. Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta. Ci sono ferite che esigerebbero una cura che non c’è. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice. Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra in realtà) costretto alla follia”… “Qui ci si erge a far fuori un piccolino e a straziare una ragazzina in nome della legge e del bene … “Questa racconto tenebroso è specchio dei poteri che ci dominano. Lasciamo perdere i genitori, che riescono ormai a pesare come ingranaggi inerti. Ma che la magistratura e la medicina siano complici, ci lascia sgomenti».

Dalla sentenza della Corte di Appello: « affermazioni contrarie al vero, in quanto l’interruzione della gravidanza, autorizzata dal giudice, fu decisa autonomamente dalla minore nel rispetto dell’art. 12 l. 194/78, e pertanto affermazioni idonee a ledere la reputazione della parte lesa; con l’aggravante di aver attribuito un fatto determinato. Con riferimento alla posizione di Sallusti, va riaffermata non solo la natura diffamatoria dell’articolo a firma di Dreyfus, che contiene espressioni ben più pesanti del precedente, ma anche la falsità della ricostruzione dei fatti. Non possono agli appellanti essere concesse le attenuanti generiche. Secondo la prevalente e più corretta giurisprudenza, le suindicate attenuanti vanno concesse non tanto in assenza di elementi negativi quanto in presenza di elementi positivi che non trovano puntuale collocazione all’interno di quelle categorie espressamente previste dall’art. 62 c.p. o in altre disposizioni di legge, quali ad esempio, la giovane età, una condotta processuale improntata a particolare lealtà o qualunque altra condizione personale o sociale meritevole di attenzione ai fini di un’attenuazione del trattamento sanzionatorio. Nel caso di specie non si ravvisa alcuna circostanza, che possa essere in tal modo valutata. Non vanno inoltre trascurate le modalità di commissione dei fatti, caratterizzate da particolare negatività, come già posto in risalto dal Giudice di primo grado».

E le istituzioni alte?

Stando alle affermazioni dei mass media Napolitano ha avuto due incontri: uno con la ministra Severino, per affrontare il caso Sallusti e il problema della legge sulla diffamazione, l’altro con i firmatari di una lettera aperta sul sovraffollamento delle carceri, guidati dal prof. Pugiotto.

Due temi differenti? No, lo stesso tema, Sallusti, in due salse distinte.

Ma ci voleva Sallusti per svuotare le carceri?

Ma sì, in Italia per cambiare una legge ci vuole un personaggio illustre che si trova nei guai e a cui il cambiamento ritorna utile.

Il problema di Napolitano e della Ministra è un giusto problema e il momento è buono per pensare ad una amnistia o a un indulto quali rimedi per frenare l’accanimento dei giudici verso chi ha santi in paradiso. E le vittime della giustizia ingiusta? E i carcerati in attesa di giudizio?

Ma in carcere non ci vanno i sallusti illustri e perciò non fanno sovraffollamento. In carcere ci va il povero disgraziato senza nome e senza voce. Ci va il bersaglio facile che il magistrato può colpire perché non ha quei “bordelli di pensiero che si chiamano giornali”.

Diritto di critica? No e no e no.

Il diritto di critica ha il proprio limite nel principio del neminem laedere. La critica deve mantenersi entro il limite della correttezza del linguaggio e rispettare la reputazione e il decoro e l’ onorabilità di ogni persona fisica o giuridica.

Diritto di cronaca? No e no e no.

Il diritto di cronaca può essere esercitato se la notizia pubblicata sia vera, se esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, in relazione alla rilevanza degli stessi per la collettività e per la formazione della pubblica opinione, e siano rispettati i limiti dell’obiettività e della continenza, senza che si travalichi da un’esposizione improntata a leale chiarezza e da una critica civile.

Resta la questione della misura.

Va mantenuta la responsabilità del direttore? Ci deve essere la reclusione per la stampa? Per quali casi?

Io proporrei di mantenere la reclusione solo per il caso di articoli anonimi. Là dove sia identificato l’autore non possiamo gravare il direttore di un carico di lavoro eccessivo.

Essendo contraria a qualsiasi compressione del diritto di esprimere il proprio pensiero, per non ingannare i cittadini che a sua volta hanno il diritto di non ascoltare menzogne per esprimere il proprio pensiero su notizie vere, punirei pesantemente chi racconta fatti menzogneri e offensivi.

Come colpire i giornalisti falsari? Il risarcimento del danno in sede civile è sufficiente? Bisogna vedere come sta a soldi l’editore. La condanna civile turba la libertà di stampa di chi soldi non ha.

Angela Bruno

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