Nel caso di specie, una donna presenta ricorso, dinanzi alla Suprema Corte, avverso la sentenza che ha dichiarato efficace nella Repubblica Italiana la sentenza del Tribunale ecclesiastico che, a sua volta, aveva dichiarato nullo il matrimonio concordatario per grave difetto di discrezione di giudizio del marito.
A sostegno delle proprie censure la donna pone due questioni: la prima attinge alla inammissibilità della delibazione (ossia il procedimento attraverso il quale uno stato concede l’esecuzione di atti ecclesiastici sul proprio territorio), in quanto a suo modo di vedere la pronuncia di divorzio spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo, incidendo sugli effetti civili del matrimonio canonico.
La Corte sul punto afferma che la censura non può essere accolta, in quanto la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo pertanto il matrimonio e non l’atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi.
Pertanto, sulla base di ciò il Collegio afferma che “la sentenza di divorzio non impedisce la delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario”, ciò in coerenza con gli impegni assunti dallo Stato italiano con l’Accordo di revisione del Concordato lateranense.
La seconda questione, sulla base della quale la ricorrente fonda il suo ricorso, è quella attinente alla valutazione fatta dalla Corte d’appello di Torino, la quale ha sostenuto che “il grave difetto di giudizio è assimilabile alle fattispecie disciplinate dagli artt.120 e segg c.c e per aver comunque affermato che nel caso di specie la sostanziale immaturità del marito, tanto grave da escludere un valido consenso matrimoniale, costituiva “una condizione suscettibile di percezione e di valutazione nel suo esistere”.
La ricorrente afferma che la Corte, a suo avviso, “ha ignorato che il matrimonio è durato circa 20 anni e che tale circostanza è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, costituendo espressione di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito”.
Ma i giudici di legittimità non hanno accolto neppure questa doglianza. Hanno, infatti, affermato che “in tema di delibazione della sentenza di un tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, per difetto di consenso, la situazione di vizio psichico (ob defectum discretionis iudicii) da parte di uno dei coniugi, assunta in considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, non si discosta sostanzialmente dall’ipotesi di invalidità contemplata dall’art. 120 c.c., cosicché è da escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principio fondamentali dell’ordinamento italiano”.
Quanto, in particolare, alla rilevanza della durata ventennale del matrimonio, prospettata dalla ricorrente come elemento ostativo della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio stesso, la Corte ha affermato, invece, che ciò che rileva non è tanto la durata del rapporto quanto più che altro è il matrimonio-rapporto fondato sulla convivenza dei coniugi ad avere un’incidenza rilevante nell’ordine pubblico italiano, tale da impedire di annullare il matrimonio dopo che è iniziata la convivenza e spesso se questa è durata per un certo tempo.
In questo caso, per l’appunto, la donna si è limitata “a porre in evidenza la mera durata ventennale del matrimonio e non la effettiva convivenza dei coniugi per lo stesso periodo”, fermo restando che in ogni caso tale situazione di effettiva convivenza avrebbe dovuto essere dedotta e provata, nella fase di delibazione della sentenza ecclesiastica, da parte della moglie che invece non risulta aver esercitato attività difensiva in tal senso.
In conclusione, la Corte con questa sentenza ha riconosciuto la trasposizione della pronuncia ecclesiastica di nullità di un matrimonio concordatario nell’ambito giudiziario italiano, ammettendone la delibazione anche se la coppia è sposata da molti anni. Inoltre, ritiene irrilevante ai fini dell’exequatur che la sentenza di divorzio sia o meno passata in giudicato.
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