Si è giunti al terzo grado di giudizio dopo che la Corte d’Appello ha accolto il reclamo proposto dal lavoratore, vistosi respingere in Tribunale la domanda di annullamento del licenziamento e reintegrazione nel posto di lavoro.
Secondo la Suprema Corte non è sufficiente che l’attività, in concreto, non abbia pregiudicato la ripresa. Si chiede invece al dipendente di adottare tutte le cautele necessarie per scongiurare una prosecuzione della malattia.
La Cassazione, nel giudicare il gravame, parte dal presupposto, ormai consolidato in precedenti sentenze, che lo svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia è potenzialmente idoneo a giustificare il recesso del dipendente per violazione dei doveri di correttezza e buona fede oltre agli obblighi di diligenza e fedeltà laddove, continuano i giudici, tale attività “possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore”.
Il passo ulteriore della Corte nella sentenza in questione sta nel riconoscere come illecito disciplinare lo svolgimento di attività extralavorativa non solo se da tale condotta deriva un’effettiva e concreta impossibilità di ripresa del lavoro (nel caso in parola il dipendente era rientrato normalmente senza necessità di ulteriori giorni di riposo), ma, afferma la sentenza, anche quando “la ripresa è solo messa in pericolo dalla condotta imprudente”.
Per la Cassazione, in secondo grado non ci si è interrogati sul rispetto dei doveri di correttezza e buona fede che imponevano al dipendente di adottare tutte le cautele per evitare l’aggravarsi della malattia. Nello specifico, la prescrizione del medico di stare a riposo.
In conclusione, rinviando il giudizio alla Corte d’Appello, la Cassazione afferma che nel valutare la responsabilità disciplinare del dipendente che si sia prestato a svolgere altra attività durante la malattia, è necessario interrogarsi sul rispetto da parte di quest’ultimo del cosiddetto “obbligo di cautela”.
Si ricorda che per giurisprudenza consolidata non esiste un divieto assoluto, in costanza di malattia, di lavorare per un terzo purché non si dimostri l’intento del dipendente:
– di simulare la malattia così da rendersi disponibile per un altro datore o addirittura per imprese concorrenti;
– di compromettere o ritardare la guarigione approfittando del riposo per trarne un’utilità da un altro datore di lavoro in danno di chi fa affidamento sulla buona fede e correttezza dei propri dipendenti.
Sempre per giurisprudenza consolidata, il lavoratore cui venga contestata la violazione disciplinare è chiamato a dimostrare la compatibilità tra l’attività extra e la malattia, oltre all’incapacità di quest’ultima di pregiudicare il recupero delle energie psico-fisiche.
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