Cassazione, legittimo il licenziamento per i furbetti del tesserino

Redazione 24/03/12
I furbetti del tesserino.

La Corte di Cassazione conferma il licenziamento in tronco nei confronti di tre lavoratori di un’azienda che risultavano essere presenti all’interno dello stabilimento, poiché il loro badge personale era stato regolarmente strisciato, ma in realtà si trovano altrove in altre faccende affaccendati.

Una prassi nemmeno tanto originale, dal momento che qualche mese fa anche “Le Iene” avevano denunciato una situazione simile al Comune di Roma.

Per non parlare poi della riprovevole prassi parlamentare dei “pianisti”, consistente nel passare la tessera personale e necessaria per il voto elettronico anche per i parlamentari assenti.

Tuttavia ai tre, scoperti, era stati intimato il licenziamento disciplinare da parte del datore di lavoro.

Impugnato il licenziamento, sia in primo grado sia in appello i tre si vedevano rigettare la domanda.

Un rigetto confermato anche dalla Suprema Corte, sezione lavoro, con sentenza n. 4693 pubblicata il 23 marzo 2012, nella quale si sottolinea come la circostanza sia frutto di un accordo preventivo con scambi di favori fra colleghi, abituati a “coprirsi” a vicenda.

Infatti, sulla base delle dichiarazioni rese dai testimoni in sede di merito, veniva fuori come uno dei tre furbetti abbia timbrato, durante l’orario di lavoro e più di una volta, i cartellini personali di tutti e tre, nonostante gli altri due non fossero sul posto di lavoro. Una circostanza, che secondo i Giudici di legittimità, conferma come la condotta dei lavoratori fosse frutto di un accordo preventivo finalizzato a far risultare fittiziamente ottemperato l’obbligo di regolare presenza sul posto di lavoro.

La Cassazione precisa anche come questa condotta reiterata dei tre complici sia sufficiente a far venire meno la fiducia dell’azienda nella futura correttezza dell’adempimento della prestazione di lavoro, e sia pertanto idonea ad integrare la fattispecie del licenziamento disciplinare senza preavviso, considerato inoltre che la condotta posta in essere dai tre costituisce delitto ai sensi dell’art. 640 Cp.

La difesa dei tre si era basata su censure riguardanti violazioni di legge e vizi di motivazione, censure respinte dalla Suprema Corte in quanto non di propria competenza.

Qui il testo integrale della sentenza n. 4693/2012 della Cassazione 

Redazione

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