Dunque è stato respinto il ricorso alla sesta sezione penale della Cassazione di Lorenzo F. , un cinquantenne toscano che, insieme ad altre persone, durante una non meglio precisata “pubblica riunione”, non certo di tenere educande, si era prodotto nell’antico saluto accompagnato però, onde evitare fraintendimenti, da “slogan inneggianti al razzismo e al regime fascista”. La suprema corte ha ritenuto inammissibile il ricorso del cittadino, che sosteneva come non ci fosse certezza che il soggetto ritratto nelle foto, elemento da cui era partita l’indagine, fosse proprio lui.
Le fotografie in questione, infatti immortalano un uomo con “il capo coperto da un cappello, una sciapra sul volto e un giubbotto imbottito”: il riconoscimento dell’imputato però si era basato sulla testimonianza di un poliziotto che aveva dichiarato di conoscerlo “dal 1990”. Il fatto, risalente al 23 aprile del 2005, è da collegarsi alla manifestazione di un gruppetto neofascita tenutasi a Firenze, lo avevamo detto, non certo un raduno di tenere educande.
La Cassazione, che ha confermato la condanna maturata in secondo grado, ha riscontrato che “il giudice d’appello ha fondato il proprio convincimento sulla circostanza che gli imputati erano soggetti già noti alle forze di polizia (in particolare alla Digos e alle Questure della Toscana) per la loro partecipazione ad altre manifestazioni del genere” e che il ricorrente “era pluripregiudicato e, perciò, anche sotto questo profilo, era noto alle forze di polizia”. I giudici del merito, conclude la sesta sezione penale, “hanno poi posto in rilievo come l’imputato avesse la parte inferiore del volto (dal naso in giù) coperta da una sciarpa, che non ne impediva il riconoscimento da parte di chi già lo conoscesse”.
Vip e calciatori, vista la facilità con cui spesso hanno esibito questo saluto, sono avvisati; a far il saluto romano si rischia grosso, parola della Cassazione.
Qui il testo integrale della sentenza n. 35549/2012 della Suprema Corte
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