La Corte di Cassazione, con sentenza n. 38034 depositata il 17 settembre 2013, ha ribadito ( si veda precedente pronuncia della Suprema Corte n. 15061/2007) un importante principio di diritto: l’uso del collare antiabbaio rientra nella previsione del codice penale che vieta il maltrattamento degli animali. In questa prospettiva di continuità la Suprema Corte ha ritenuto che il collare elettronico, fondandosi esso sull’uso di scosse o altri impulsi elettrici somministrati al cane tramite telecomando, provochi un dolore incidente sull’integrità psicofisica del cane. Ciò in quanto, cito letteralmente la motivazione, “ la somministrazione di scariche elettriche per condizionarne i riflessi ed indurlo tramite stimoli dolorosi ai comportamenti desiderati produce effetti collaterali quali paura, ansia, depressione ed anche aggressività”. Nel caso di specie è stata ritenuta sussistere la violazione del secondo comma dell’articolo 727 c.p., reato contravvenzionale, che prevede la punibilità di chi detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. Ciò in quanto “l’uso di tale collare produce effetti difficilmente valutabili sul comportamento dell’animale, talvolta reversibili, altre volte permanenti, ma comunque considerabili maltrattamento”.
L’utilizzo dei collari elettrici, dopo l’entrata in vigore della legge 20.07.2004 n. 189 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento di animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, ha dato origine a diverse problematiche. Qui si può accennare al loro divieto d’uso da parte del Ministro della Salute, tramite diverse ordinanze, sospese dal Tar del Lazio e sistematicamente reintrodotte.
La Cassazione, osservando in via incidentale che l’annullamento del provvedimento da parte del giudice amministrativo non riguardava le valutazioni di merito, è perentoria affermando, in via definitiva, che, “l’uso del collare antiabbaio, a prescindere dalla specifica ordinanza ministeriale e dalla sua efficacia, rientra nella previsione del codice penale che vieta il maltrattamento degli animali”.
A parere di chi scrive, una volta appurata la nocività dell’uso dei collari elettronici, la condotta ravvisabile sarebbe quella, più grave, prevista dall’ art. 544ter del codice penale che prevede il delitto di maltrattamento di animali laddove gli stessi, per crudeltà o senza necessità, vengano sottoposti a sevizie o a comportamenti insopportabili con le loro caratteristiche etologiche. Da considerare, in alternativa, l’applicabilità del secondo comma dell’appena citato articolo che prevede le medesime pene per chi sottopone gli animali a trattamenti che procurino danno alla salute degli stessi. Secondo la Suprema Corte l’uso dei collari elettronici, in se, comporta un danno del genere. L’ipotesi contravvenzionale, decisa dal G.i.p. del Tribunale di Rovereto, cui la Suprema Corte ha aderito, ha l’innegabile vantaggio di prescindere dall’atteggiamento psicologico di dolosa volontà crudele o non necessitata da parte dell’agente. Sulla non necessarietà della condotta dolosa un’ultima considerazione: la Cassazione ha osservato come l’uso del collare elettrico risultasse, nel caso di specie a essa sottoposto, di fatto, priva d’utilità avendo il cane, su cui il dispositivo elettronico era stato installato, un’indole docile e remissiva. A mio modesto parere l’inflizione di sofferenze a un essere senziente, tramite l’utilizzo di un mezzo quale il collare elettronico che ha già, di per sé, una natura preventiva che prescinde dall’attualità del pericolo rappresentato dall’animale aggressivo, non risulterebbe mai giustificabile. Al di là di questa piccola nota critica l’importanza della decisione è evidente e rappresenta, senza dubbio, un caposaldo in materia di diritti degli animali.
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