Nello specifico, l’intervento ha riguardato gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, rendendone l’utilizzo semplificato e allargando la platea d’accesso ai Fondi di solidarietà.
Molti lavoratori, dunque, vivono in questi giorni un periodo di riposo forzato per via della chiusura di molte attività, in quanto non considerate “essenziali” per garantire beni e servizi indispensabili, alla luce dei diversi interventi normativi di chiusura attività, ultimo in ordine cronologico il Decreto 10 aprile che ha prorogato le restrizioni e chiusure al 3 maggio.
Non potendo adottare la modalità di svolgimento del lavoro in smart working, i lavoratori costretti a rimanere a casa quanto perdono di stipendio? Quando riceveranno i soldi della cassa integrazione? Esiste un importo massimo dell’integrazione salariale? Ecco un riepilogo dettagliato sulla cassa integrazione 2020.
Cassa integrazione 2020: il trattamento ordinario
Per quanto riguarda la Cigo, le aziende possono richiedere l’integrazione salariale se hanno dovuto interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Le domande possono essere trasmesse per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020 e per una durata massima di 9 settimane.
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L’accesso è rivolto alle aziende industriali, quali ad esempio:
- le imprese dell’industria boschiva, forestale e del tabacco;
- le imprese industriali per la frangitura delle olive per conto terzi;
- le imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato.
Come anticipato in premessa, la Cigo non soggiace all’obbligo di pagamento del contributo addizionale. Inoltre, il periodo di ricorso alla casa integrazione non rientra ai fini del computo della durata, ossia nel limite delle 52 settimane nel biennio mobile o delle 26 settimane nel biennio mobile per l’assegno ordinario garantito dal FIS. Altra semplificazione riguarda il requisito dell’anzianità di 90 giorni di effettivo lavoro presso l’unità produttiva, che non è più richiesto.
Da notare, altresì, che le aziende – all’atto della presentazione della domanda di concessione di integrazione salariale – non sono tenute a comunicare all’INPS le risultanze dell’esame congiunto con i sindacati.
Cassa integrazione 2020: i trattamenti in deroga
La Cassa integrazione in deroga, diversamente, concessa fino a 9 settimane dalle Regioni, riguarda le imprese che non hanno accesso alla Cigo o Cigs. Inoltre, il “Decreto Cura Italia” ha esteso tra i beneficiari anche quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi, estendendo la tutela del reddito al personale dei datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti. Sono esclusi i lavoratori domestici.
L’accesso alla cassa integrazione guadagni in deroga è garantito previo accordo che può essere concluso anche in via telematica con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale per i datori di lavoro. Sono esonerati dal predetto accordo i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti.
Cassa integrazione 2020: l’assegno ordinario
Limitatamente per il periodo “23 febbraio 2020 – 31 agosto 2020”, l’assegno ordinario è concesso anche ai lavoratori dipendenti presso datori di lavoro iscritti al Fondo di integrazione salariale (FIS) che occupano mediamente più di 5 dipendenti. Il predetto trattamento su istanza del datore di lavoro può essere concesso con la modalità di pagamento diretto della prestazione da parte dell’INPS.
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Cassa integrazione 2020: come viene pagata
In merito alle modalità di pagamento della Cigo, rimane inalterata la possibilità per l’azienda di anticipare le prestazioni e di conguagliare gli importi successivamente, così come, in via di eccezione, la possibilità di richiedere il pagamento diretto da parte dell’INPS.
In aggiunta, pochi giorni fa è stato firmato un accordo fra Inps e Abi (associazione banche italiane) per semplificare e accelerare l’accredito della Cig da parte delle banche. In sostanza, Da aprile 2020 non è più necessario che le coordinate bancarie vengano validate dalla banca e poi trasmesse all’Inps.
La veridicità delle informazioni per l’accredito della Cig in pagamento diretto sarà verificata direttamente dall’Istituto con la banca o la posta. Non sarà più necessaria la compilazione e trasmissione da parte del lavoratore del modello cartaceo SR41. Niente incombenze per il dipendente quindi. Questa è la novità contenuta nel messaggio numero 1508 del 6 aprile 2020.
In conseguenza della particolare situazione di emergenza, in questo ultimo caso, le aziende potranno chiedere il pagamento diretto senza obbligo di produzione della documentazione comprovante le difficoltà finanziarie dell’impresa.
Con riferimento alle aziende che accedono al FIS, le modalità di pagamento per le aziende con dimensione aziendale sopra i 15 dipendenti prevedono la possibilità:
- di anticipare le prestazioni e di conguagliare gli importi successivamente;
- di richiedere il pagamento diretto da parte dell’INPS.
Durante il periodo di percezione dell’assegno ordinario non è erogata la prestazione accessoria degli assegni.
I trattamenti salariali in deroga, invece, sono concessi con decreto delle regioni e delle province autonome interessate, da trasmettere all’INPS in modalità telematica entro 48 ore dall’adozione, la cui efficacia è in ogni caso subordinata alla verifica del rispetto dei limiti di spesa. Successivamente, le regioni e le province autonome, unitamente al decreto di concessione, inviano la lista dei beneficiari all’INPS, che provvede all’erogazione delle predette prestazioni.
Cassa integrazione 2020: i massimali
L’importo della cassa integrazione dipende sostanzialmente da due fattori principali:
- il totale delle ore di lavoro non lavorate e per le quali il datore di lavoro chiedere la Cig;
- la retribuzione che il lavoratore avrebbe avuto diritto se avesse prestato l’attività lavorativa.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 3, co. 5, del D.Lgs n. 148/2015, i trattamenti di integrazione salariale sono soggetti a degli importi massimi. Tali importi vengono rivalutati nella misura del 100% dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI).
Per quest’anno, ossia dal 1° gennaio 2020, la retribuzione sia lorda che netta mensile, maggiorata dei ratei relativi alle mensilità aggiuntive, oltre la quale è possibile attribuire il massimale più alto, sono state fornite dall’Inps con la Circolare n. 20 del 10 febbraio 2020.
In particolare, i limiti reddituali sono pari a:
- 993,21 euro lordi (935,21 euro netti), per le retribuzioni inferiori o uguali a 2.148,74 euro;
- 193,75 euro lordi (1.124,04 euro netti), per le retribuzioni superiori a 2.148,74 euro.
I predetti importi sono indicati, rispettivamente, al lordo e al netto della riduzione prevista dall’art. 26 della L. n. 41/1986, che attualmente è pari al 5,84%.
Detti importi massimi devono essere incrementati, nella misura ulteriore del 20%, per i trattamenti di integrazione salariale concessi in favore delle imprese del settore edile e lapideo per intemperie stagionali. In quest’ultimo caso, i limiti reddituali sono pari a:
- 1.197,82 euro lordi (1.127,87 euro netti), per le retribuzioni inferiori o uguali a 2.148,74 euro;
- 1.439,66 euro lordi (1.355,58 euro netti), per le retribuzioni superiori a 2.148,74 euro.
Per quanto concerne l’assegno ordinario per il Fondo del credito, i massimali dell’assegno ordinario sono così fissati:
- 1.186,29 euro, per retribuzioni inferiore a 2.184,24 euro;
- 1.367,35 euro, per retribuzioni comprese tra 2.184,24 euro e 3.452,74 euro;
- 1.727,41 euro, per retribuzioni superiori a 3.452,74 euro.
L’assegno emergenziale, invece, ha un importo massimo di:
- 443,35 euro (2.300,66 euro al netto), in caso di retribuzione tabellare annua inferiore a 41.829,33 euro;
- 752,41 euro, in caso di retribuzione tabellare annua compresa tra 41.829,33 euro a 55.037,77 euro;
- 852,34 euro, in caso di retribuzione tabellare annua superiore a 3.852,34 euro.
Cassa integrazione 2020: quanto si perde di stipendio?
L’importo che riceverà il lavoratore per la cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria è pari all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate con il limite dei massimali stabiliti annualmente.
Tuttavia, tale calcolo non sempre corrisponde in maniera esatta in quanto bisogna conoscere anche altri elementi che possono variare il risultato finale.
ESEMPIO
Facciamo un esempio di un’azienda che chiede la Cig a zero ore (ossia con 0 ore lavorate dal dipendente). Ipotizziamo che in busta paga il lavoratore abbia un importo lordo imponibile previdenziale di 1.500 euro. Tale lavoratore avrebbe diritto all’80% per il periodo di Cig, ossia 1.200 euro.
Questo lavoratore, però, non i 1.200 euro ma 998,18 euro lordi e 939,89 euro netti, al lordo della tassazione Irpef, perché la legge impone i massimali. A questo punto, quindi, la percentuale che il lavoratore perde sul suto stipendio reale è nettamente maggiore.
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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro. Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali.
Massimiliano Matteucci, Sara di Ninno, Lorenzo Sagulo, a cura di Paolo Stern | 2020 Maggioli Editore
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