E’ all’”urlo straziante“, “sicuramente” pronunciato dalla vittima, peraltro chiaramente udito da alcune testimoni, che secondo i giudici della prima sezione penale della Cassazione andrebbe ricondotta l’ora della morte di Meredith la quale dunque andrebbe posticipata rispetto alla ricostruzione presentata dai giudici d’appello. Seguendo questa impostazione, Rudy Guede non avrebbe dunque potuto agire da solo, avendo palesemente sottovalutato la Corte d’assise d’appello “gli indizi a carico di Knox e Sollecito“. “La pronuncia impugnata -scrivono io giudici di Piazza Cavour- presta il fianco al lamentato vizio di violazione di legge e di difetto di adeguata motivazione nel passaggio cruciale della ricostruzione del fatto che attiene alla presenza di concorrenti nel reato, nell’abitazione nella disponibilità oltre che della vittima, della sola Knox, in quella maledetta serata, profilo che non va sicuramente inteso in un automatismo probatorio, ma che costituisce un segmento significativo nell’itinerario costruttivo“.
Rudy Guede è stato l’unico a subire una condanna definitiva che risponde al reato di “concorso in omicidio“. Il giovane di origini ivoriane, infatti, è tenuto a scontare una pena detentiva di 16 anni dal momento che il giudizio è avvenuto con rito abbreviato. Nello specifico, la Suprema Corte ha evidenziato la sussistenza di “molteplici profili di manchevolezze, contraddittorietà ed illogicità manifesta” nella sentenza d’appello. Si apprende infatti dalle motivazioni depositate oggi che “il giudice del rinvio dovrà porre rimedio nella sua più ampia facoltà di valutazione, agli aspetti di criticità argomentativa, operando un esame globale e unitario degli indizi, attraverso il quale dovrà essere accertato se la relativa ambiguità di ciascun elemento probatorio possa risolversi, poiché nella valutazione complessiva, ciascun indizio si somma e si integra con gli altri“.
L’esito di tale “valutazione osmotica -hanno proseguito nella valutazione gli ermellini- sarà decisiva non solo a dimostrare la presenza dei due imputati nel locus commissi delicti, ma ad eventualmente delineare la posizione soggettiva dei concorrenti” di Rudy Guede. Costituisce un’evidenza “grave” la “menzogna” più volte sostenuta da Amanda Knox contro Patrick Lumumba, accusato dalla ragazza dell’omicidio di Meredith. L’infamia sarebbe stata dettata da precisi scopi auto-tutelativi, la stessa infatti, si legge nelle motivazioni, poteva “mirare proprio all’allontanamento degli investigatori dalla persona dell’indagata, detentrice delle chiavi che davano accesso” alla casa del delitto. La tesi costituisce una delle ipotesi messe in rilievo dalla Cassazione che, secondo i giudici supremi, è stata palesemente e gravosamente bistrattata dai giudici d’appello.
Amanda, “seppure molto giovane“,prosegue la sentenza ‘suprema’, “era ragazza matura, con un livello culturale adeguato, nata e vissuta in uno Stato la cui legislazione non consente di accusare gratuitamente una persona, pur di liberare se stesso da una situazione imbarazzante”. La Cassazione precisa dunque che, essendo gli estremi del reato di calunnia “ritenuti ricorrere da tutte e due le corti di merito“, sarà il processo d’appello-bis a dover decretare se tale reato sia ricollegabile alla contestazione più grave (appunto quella di omicidio) o se viceversa ne risulti completamente estraneo, così come già ritenuto dai giudici del merito nel primo processo d’appello. “Se gioco erotico c’è stato si cerchino gli altri protagonisti che non sono certamente Raffaele Sollecito e Amanda Knox”, ha affermato ai margini della deposizione Giulia Bongiorno, avvocato difensore del giovane pugliese. “La prova scientifica –è tornata a rimarcare l’innocenza dell’assistito la stessa Bongiorno- dimostra infatti che non ci sono tracce di Dna di Sollecito e della Knox sulla scena del delitto”.
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