Il decreto si propone come “la definitiva implementazione della nuova carta di identità elettronica” e stanzia per questa finalità e per l’ampliamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente investimenti di 59,5 milioni di euro per l’anno 2015, di 8 milioni di euro l’anno 2016 e di 62,5 milioni di euro, ogni cinque anni, a decorrere dall’anno 2020 e, per le attività di gestione, di 0,7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016.
Il percorso della Carta d’identità elettronica è stato lungo e non ha portato sempre a risultati concreti. Infatti è dal 1995 che se ne parla, sempre nell’ambito di misure per la digitalizzazione e la semplificazione della PA, ma attualmente le card elettroniche distribuite sono solo 4 milioni, in circa 200 comuni. La procedura di rilascio è lunga, può durare anche mesi. C’è poi un costo aggiuntivo di 20 euro a carico del cittadino in cambio, però, dell’utilizzo di una serie di servizi della pubblica amministrazione.
In pratica, con questo decreto si è deciso di annullare l’ultima manovra emanata in materia che risale al governo Monti (2012). In quel periodo, sotto il peso della crisi, si era deciso di rimpiazzare la Cie (Carta di identità elettronica), o meglio inglobarla nel Ddp (Documento digitale unificato).
L’idea era di riunire in un solo supporto la tessera sanitaria, che contiene anche il codice fiscale e la carta di identità, tutto ovviamente in un’ottica di risparmio economico. Ma, purtroppo, anche questo progetto non ha fatto molta strada e la distribuzione ai cittadini in realtà non è nemmeno iniziata. Speriamo che questo decreto sia effettivamente la “definitiva implementazione” di questo lungo percorso.
Nel testo si legge che “L’emissione della carta d’identità elettronica è riservata al Ministero dell’interno che dovrà definire le caratteristiche tecniche, le modalità di produzione, di emissione, di rilascio della carta d’identità elettronica, nonché di tenuta del relativo archivio informatizzato di concerto con i Ministri della p.a. e dell’economia e delle finanze, sentita l’Agid, il Garante per la protezione dei dati personali e la Conferenza Stato-città autonomie locali“.
Lo stesso decreto provvede ad ampliare l’ANPR (Anagrafe nazionale della popolazione residente) attribuendogli anche l’informatizzazione dei registri di stato civile tenuti dai Comuni e delle liste di leva. Tali attività di implementazione dovranno essere curate dal Ministero dell’Interno d’intesa con l’Agenzia per l’Italia digitale.
Si legge nel testo che “L’ANPR assicura ai singoli comuni la disponibilità dei dati, degli atti e degli strumenti per lo svolgimento delle funzioni di competenza statale attribuite al sindaco e mette a disposizione dei Comuni un sistema di controllo, gestione e interscambio, puntuale e massivo, di dati, servizi e transazioni necessario ai sistemi locali per lo svolgimento delle funzioni istituzionali di competenza èbcomunale. Al fine dello svolgimento delle proprie funzioni, ad eccezione di quelle assicurate dall’ANPR e solo fino al completamento dell’Anagrafe nazionale, il comune può utilizzare i dati anagrafici eventualmente conservati localmente, costantemente allineati con l’ANPR“.
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