In uno dei momenti più difficili degli ultimi anni, non sfugge a nessuno che l’annunciare (senza presentare concretamente) un provvedimento che – come soluzione alla crisi economica – preveda tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici e libertà di licenziare, sia figlio di una concezione superata del mondo, oltre che del modo di fare politica di bilancio.
Nel 2011, nel bel mezzo della “rivoluzione dei social media”, quando tutti i settori della nostra vita sono stati già profondamente stravolti dalle tecnologie info-telematiche, le riforme non possono avvenire senza vera innovazione.
Sotto questo profilo, l’errore compiuto dal Ministro Tremonti (e dal Governo tutto) è duplice: di metodo e di merito.
Cominciamo dal metodo.
Nell’era della comunicazione e dell’e-partecipation, non è più tollerabile che il testo dei provvedimenti più importanti per il Paese (come riforme e manovre economiche) – pur anticipato da indiscrezioni giornalistiche – debba essere scoperto dai cittadini solo dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, a “giochi fatti”.
Ebbene, la domanda nasce spontanea: perché non rendere disponibile il provvedimento (anche in testo provvisorio) direttamente sui siti istituzionali? Credo che la trasparenza nella genesi di un provvedimento così importante per lo Stato e per i cittadini sia assolutamente doverosa.
E poi, perché non indire una consultazione pubblica relativa alle misure da adottare per uscire dalla crisi? Sono sicuro che arriverebbero molte segnalazioni interessanti e meritevoli di essere accolte.
In molti Paesi del Mondo (dagli USA al Brasile, dalla Germania al Kenya) si stanno moltiplicando le esperienze di bilancio partecipativo; tale metodo prevede che attraverso l’uso del Web (siti, forum, blog) e dei Social Media (Facebook, Twitter e Youtube) il Governo illustri in modo chiaro (anche servendosi delle sempre più popolari infografiche) i contenuti dei provvedimenti cui sta lavorando, in modo da consentire ai cittadini di poter dire la propria, criticando le proposte governative, magari integrandole, di sicuro migliorandole.
Oltre che ad accrescere la qualità delle decisioni assunte (e c’è n’è particolarmente bisogno se l’audizione del Ministro Tremonti arriva ad appena due settimane di distanza dall’approvazione di una manovra economica straordinaria), il bilancio partecipativo segnerebbe finalmente il passaggio da un Governo paternalistico che tratta i cittadini come “sudditi” (“noi sappiamo cos’è meglio per voi!“) ad un “Governo 2.0” che usa il Web per collaborare con i propri cittadini (“abbiamo bisogno del vostro aiuto per prendere le giuste decisioni”).
E veniamo al merito delle risposte alla crisi date dal Governo. Il Ministro Tremonti non ha dedicato neanche una parola del suo discorso ad uno dei più importanti problemi italiani: il nostro è un Paese vecchio ed arretrato, specialmente per quanto concerne il settore pubblico. Facciamo qualche esempio.
Si parla tanto di tagliare gli sprechi e i costi della politica, ma quanti sanno che gli Enti pubblici spendono migliaia di euro al giorno per il “facchinaggio” (vale a dire per trasportare documenti e lettere cartacee tra i diversi uffici)? Tali spese potrebbero essere immediatamente eliminate in tutte le amministrazioni italiane, semplicemente rendendo immediata l’entrata in vigore delle disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005) che prevedono l’uso di documento informatico e firma digitale al posto della carta. Per non parlare delle diverse centinaia di milioni di euro di risparmi che potrebbero essere conseguiti grazie all’uso (immediato) della Posta Elettronica (anche certificata) al posto delle raccomandate e al ricorso di software Open Source all’interno degli uffici pubblici.
Inoltre, in un Paese in cui la corruzione costa circa 60 miliardi di Euro all’anno (secondo dati della Corte dei Conti), sarebbe opportuno intraprendere una seria politica in materia di trasparenza on line.
In un contesto di debolezza finanziaria, uno dei maggiori problemi che i governi devono fronteggiare è come ricostruire la fiducia di cittadini e investitori nelle risposte fornite alla crisi (tagli alla spesa pubblica, nuova regolamentazione e stimolo al sistema economico). Sotto questo profilo già in passato numerosi studi avevano dimostrato come l’uso delle tecnologie da parte dei Governi accrescesse la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti delle politiche governative. È anche per questo, quindi, che sempre più Paesi hanno deciso di utilizzare Internet (e, in particolare, gli strumenti del Web 2.0) per illustrare e spiegare le soluzioni approntate e coinvolgere i cittadini nel processo decisionale.
Ma non basta, può subito essere fatto molto di più! Penso, naturalmente, all’Open Data che consiste nel rendere i dati pubblici accessibili a tutti sul web, in formato aperto, senza restrizioni di copyright, brevetti o altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione. Alla base della prassi dell’Open Data (la cui adozione è stata raccomandata anche dalle Nazioni Unite) c’è la considerazione per cui i dati prodotti dalle pubbliche amministrazioni, in quanto finanziati da denaro pubblico, devono ritornare ai contribuenti, e alla comunità in generale, sotto forma di dati aperti e universalmente disponibili.
La “liberazione” dei dati pubblici, che potrebbe essere avviata immediatamente anche dal Governo italiano, risponderebbe a molteplici finalità:
– rendere l’amministrazione trasparente, attraverso la diffusione delle informazioni relative al suo funzionamento (in particolare quelle relative alla spesa pubblica);
– migliorare la qualità della vita dei cittadini che possono liberamente riutilizzare le informazioni;
– dare impulso all’economia dell’immateriale, poiché i dati prodotti e detenuti dalle pubbliche amministrazioni (basti pensare ai dati cartografici) sono una preziosa – e finora sottovalutata – risorsa per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.
La crisi economica è una sfida che difficilmente può essere vinta con schemi e soluzioni vecchie: bisogna innovare!
Se non ora, quando?
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