Sicuramente il conflitto in corso contribuisce all’aumento dei prezzi, ma ci sono anche altre ragioni non direttamente collegate alla crisi. Il prezzo del petrolio è regolato anche dalla quantità che i paesi produttori membri dell’Opec decidono di estrarre, mentre alla formazione del prezzo che vediamo nei distributori concorrono anche i costi logistici, il guadagno dei rivenditori e soprattutto le accise.
Vediamo quindi perché i prezzi dei carburanti continuano ad aumentare, come è possibile arginare i costi e cosa succederebbe in Italia con una possibile esclusione della Russia dai paesi dai quali importiamo petrolio, mentre i prezzi di gasolio e benzina nel nostro paese stanno superando i 2 euro al litro.
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Caro benzina: da cosa è formato il prezzo al distributore
Come anticipato, il prezzo che troviamo al distributore è formato da diverse parti:
- prezzo del carburante;
- guadagno del gestore del distributore;
- accise e tasse.
Il prezzo del carburante all’ingrosso dipende ovviamente dal prezzo del petrolio, al quale si aggiungono i costi di raffinazione. Il prezzo del petrolio è cresciuto in maniera sostenuta in questi giorni, complice l’incertezza dovuta al conflitto Russia-Ucraina e la decisione degli Stati Uniti di bloccare l’importazione di petrolio russo. Il prezzo del petrolio è inoltre legato alla produzione. La Germania ha chiesto all’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, di aumentare la produzione per contrastare l’aumento dei prezzi. In questo momento l’Organizzazione non ha intenzione di cambiare i piani rispetto all’aumento della produzione: sebbene sia previsto un aumento nel mese di aprile, questo sarà graduale ma soprattutto sarà il frutto di una decisione già presa prima del conflitto.
Il guadagno del gestore del distributore è sicuramente una minima parte del prezzo totale, distributori e benzinai hanno uno strettissimo margine di manovra in questo senso e possono fare davvero poco contro il caro benzina, per questo motivo le differenze tra i diversi gestori sono spesso minime.
La parte più consistente del prezzo alla pompa è invece dovuta ad accise e tasse. Il grafico mostrato di seguito è preso dalla pagina del Ministero della Transizione Ecologica con le rilevazione dei prezzi medi settimanali dei carburanti al 7 marzo 2022:
Come possiamo vedere, sia nel caso della benzina che del gasolio la parte riguardante accise e tasse rappresenta più della metà del prezzo alla pompa.
Le accise erano principalmente formate da imposte di scopo, negli anni sono state aggiunte alle accise sui carburanti delle tasse per il disastro del Vajont del 1963, per l’alluvione di Firenze del 1966, per il terremoto del Belice del 1968, per il terremoto del Friuli del 1976 e per il terremoto dell’Irpinia del 1980, sollo per fare alcuni esempi. L’ultimo intervento sulle accise è stato introdotto con il “Decreto Fare” del 2014 (l’unica temporanea, le altre sono ancora in vigore). Oggi è improprio definirle imposte di scopo in quanto dal 1995 le accise sono state riunite in un’unica imposta sui carburanti.
Alle accise si aggiunge anche l’IVA, che non si calcola solo sul prezzo industriale del carburante ma anche sulle accise stesse. Se prendiamo come riferimento i dati del MiTE da cui è stato preso il grafico precedente, il prezzo totale della benzina è di 1,953 euro al litro, formati da:
- 0,872 € – prezzo industriale;
- 0,728 € – accise;
- 0,353 € – IVA.
Caro benzina: quanto influisce il prezzo del petrolio
Se è vero che la percentuale più grande del prezzo alla pompa è rappresentata dalle accise, è anche vero che queste sono un importo fisso nel tempo. Un altro grafico del MiTE mostra l’andamento dei prezzi di benzina e gasolio negli ultimi due anni:Andamento dei prezzi del carburante fino al 7 marzo 2022. Fonte: Ministero della Transizione Ecologica
Possiamo vedere come i prezzi siano aumentati nel corso del 2021 fino a un aumento repentino nei primi 2 mesi del 2022, con un’ulteriore impennata in seguito alla crisi ucraina. Come detto in precedenza, se le accise sono un costo fisso, il caro benzina non può che venire dal prezzo industriale del carburante, che dipende direttamente dal prezzo del petrolio.
I recenti avvenimenti hanno fatto aumentare il prezzo di un barile di petrolio, con il prezzo del Brent (il petrolio del Mare del Nord preso spesso come riferimento) arrivato a quasi 140 dollari al barile, contro gli 86 dollari di media a gennaio.
Se non vengono prese misure a livello globale il prezzo potrebbe salire ulteriormente. Anche uno stop all’importazione di petrolio russo potrebbe far lievitare i prezzi nell’immediato.
Il nostro Paese importa dalla Russia solo una piccola parte di petrolio: in base ai dati raccolti dall’IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia), nel 2021 solo il 13% di tutto il petrolio importato in Italia veniva dalla Russia. Un potenziale blocco potrebbe venire compensato da altri accordi.
Il petrolio è quotato in dollari, e ciò contribuisce all’aumento dei prezzi, soprattutto in Area Euro. Questo perché nell’ultimo periodo l’Euro ha perso valore nei confronti del dollaro, e con un cambio sfavorevole un barile ci costa ancora di più.
In un clima di incertezza come quello attuale, l’aumento della produzione potrebbe essere fondamentale per contrastare l’aumento dei prezzi. Un’altra soluzione è quella di attingere alle riserve strategiche degli stati. La già citata IEA aveva proposto agli Stati membri il rilascio coordinato di una quota delle proprie scorte petrolifere, cosa che l’Italia ha già fatto la settimana scorsa rilasciando 2,041 milioni di barili, pari a 68,7mila barili al giorno, per 30 giorni.
Sono tante le incognite e le possibilità future, spetta alla comunità internazionale agire per contrastare l’aumento del prezzo del petrolio e il conseguente caro benzina, ma possiamo aspettarci ulteriori aumenti durante la crisi. Il Governo potrebbe inoltre decidere di abbassare le imposte sul carburante, ogni ipotesi è in campo.
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