Cannabis ad uso terapeutico e nuovi mercati

La letteratura sull’efficacia terapeutica dei cannabinoidi offre ampia scelta anche solo con riguardo all’anno di pubblicazione dei testi. Partendo infatti dal Pen Ts’ao, un testo di medicina orientale risalente al III millennio a.C. che ne faceva consiglio per il trattamento della stipsi, della gotta e della malaria, si arriva ai giorni nostri al netto della pausa sul finire degli anni 30 per il proibizionismo.

Oggi l’argomento viene trattato in ambito medico, con attestati nella terapia palliativa del dolore, in oncologia come lenitivo degli effetti collaterali delle chemio e radio- terapie, nei trattamenti dell’epilessia ed in altre patologie neurologiche e neurodegenerative come l’Alzheimer, il Parkinson, la Sclerosi Multipla, come rimedio naturale per ridurre la pressione intraoculare nel glaucoma ed altro ancora.

Talmente acclarato il dato scientifico d’efficacia terapeutica dei cannabinoidi, che il Ministero della Salute, con il Decreto 18.04.2007, ha aggiornato le tabelle della sostanze stupefacenti e psicotrope ed ha posto nella tabella II delle sostanze stupefacenti dotate di proprietà terapeutiche, alla sezione B, alcuni derivati della Cannabis, introducendo di fatto un “nuovostrumento terapeutico su prescrizione medica.

E’ nato così in Italia un “nuovo” farmaco ma, attenzione, nessuno può produrlo!

Nessun ente, infatti, è autorizzato a coltivare Cannabis con scopo di produrne medicine, cosicché per ottenerle e somministrarle ai pazienti è necessario appellarsi al DM 11.02.1997 relativo all’importazione di farmaci esteri direttamente dal produttore. Per avere questi farmaci, insomma, è necessario che un medico ne faccia espressa e specifica richiesta alla Asl competente che, a sua volta, chiede l’autorizzazione all’Ufficio Centrale Stupefacenti del Ministero. Nella richiesta il medico deve dichiarare che le alternative terapeutiche risultano inadeguate secondo le modalità specificate nella circolare Ministeriale N.D.G.F.D.M.lVIII/C.1.b.a/33499 del 03 ottobre 2006, dichiarazione non necessaria, invece, in caso di preparazioni galeniche o formule magistrali, pur riservando tali opzioni oneri e responsabilità per il medico ed il farmacista che ne fanno una strada mai percorsa da alcuno.

Se tale procedura si compie regolarmente, il farmaco arriva dall’estero (Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Olanda, Israele) nel giro di circa un mese e la procedura va integralmente ripetuta per richiedere nuovi farmaci ogni sessanta o novanta giorni, con un costo a totale carico del paziente di circa 600€/mese oltre le spese di spedizione (il Bedrocan, ad esempio, importato dall’Olanda, costa circa 40 euro a confezione, ciascuna contenente cinque grammi di medicamento, il Sativex, tramite l’Inghilterra, costa 602,16€ la confezione).

Un procedimento assai articolato in termini di burocrazia, costoso per il paziente e sgradito da medici e farmacisti per le responsabilità che incombono su di loro; tali complicazioni fan sì che i casi di somministrazione legale di marijuana a scopo terapeutico in Italia risultano assai ed assai rari.

In tutto questo una nota: in Italia, a Rovigo, la marijuana si coltiva legalmente; centocinquanta piante ogni tre mesi è quanto previsto dal Ministero della Salute nel provvedimento che ha autorizzato il Centro di Ricerca per le Culture Industriali (CRA). Ma l’autorizzazione è solamente a scopo di ricerca. Al CRA di Rovigo le piante vengono coltivate, utilizzate per la ricerca in laboratorio ed infine consegnate alla Guardia di Finanza per la termo-distruzione, quando invece la cosa più logica sarebbe utilizzarle per produrre i medesimi farmaci che importiamo da altri stati a caro prezzo e con le tribolazioni sopra accennate.

Alcune regioni italiane hanno cercato di allungare il passo; mi riferisco alle leggi regionali di Toscana, Liguria e Veneto.

Ha iniziato la Regione Toscana con la Proposta di Legge n. 72 del 07.04.2011: il provvedimento, convertito in legge, prevede la somministrazione dei farmaci cannabinoidi presso le strutture del servizio sanitario regionale (Asl) e le strutture private (che erogano prestazioni in regime ospedaliero) con possibilità di proseguire il trattamento anche in ambito domiciliare dopo la dimissione del paziente. I farmaci sono acquisiti tramite le farmacie ospedaliere, “nei limiti del budget aziendale” e tramite le unità sanitarie locali.

A seguire, la Regione Liguria, con la LR n.26 del 3.08.2012 e la Regione Veneto con la LR n.38 del 28.09.2012, oltre a prevedere simili modalità e facilitazioni di somministrazione ed acquisto rispetto quelle previste da Regione Toscana si spingono oltre: le due norme regionali, infatti, (all’articolo 7 per la Liguria e 5 per il Veneto) al fine di ridurre l’aggravio delle spese per l’acquisto e la preparazione dei medicinali cannabinoidi importati dall’estero, riservano alla Giunta Regionale di stipulare accordi con il Cra di Rovigo e con lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze per la produzione dei farmaci.

Con tali norme, pertanto, Liguria e Veneto sono entrate nel mercato della produzione della marijuana a scopo terapeutico, fintantoché (e siamo all’attualità) il Consiglio dei Ministri dell’attuale Governo ha messo uno stop ed ha impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale tali due norme, sul presupposto che, fra l’altro, l’art.117 della Costituzione riserva allo Stato i principi in materia di tutela alla salute.

Il parere della Consulta a questo punto è scontato e non sarà stupefacente; resta una domanda: vi è forse in Italia una resistenza culturale che demonizza l’uso della Cannabis anche quando è finalizzata a lenire i patimenti dei suoi cittadini creando, fra l’altro, nuova ricchezza?

 

Alessandro Gagliardi

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