Buonuscita Dipendenti statali: legittimo lo slittamento di 24 mesi

Buonuscita dipendenti statali. In occasione della cessazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto per legge a corrispondere al lavoratore un somma di denaro, denominata “buonuscita”. L’emolumento spetta sia ai lavoratori privati (in questo caso si parla più specificatamente di TFR, acronimo di Trattamento di Fine Rapporto) sia ai lavoratori appartenenti al settore pubblico (in quest’ultimo caso la buonuscita cambia termine, e prende il nome di TFS, ossia Trattamento di Fine Servizio). Benché la finalità dell’istituto è il medesimo, ossia garantire una somma di denaro al lavoratore che viene a trovarsi senza lavoro, le modalità e soprattutto le tempistiche di erogazione della buonuscita differiscono, in relazione al settore di appartenenza del lavoratore.

Infatti, ai lavoratori della Pubblica Amministrazione non viene corrisposto immediatamente la buonuscita, come nel caso dei lavoratori privati, ma devono attendere un arco temporale che va dai 12 ai 24 mesi. Inoltre, la somma di denaro è corrisposta a rate, da una a tre, in base all’ammontare da corrispondere. Chiaramente molti lavoratori pubblici hanno fortemente criticato tale meccanismo, lamentando una disparita di trattamento rispetto ai lavoratori privati. È legittimo lo slittamento di 24 mesi nel pagamento della buonuscita degli statali?

La questione ha interessato di recente la Corte Costituzionale, riuntasi in Camera di Consiglio per discutere su una questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Roma. Ecco cosa hanno affermato i giudici.

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Buonuscita differita per gli Statali: sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale è stata interrogata in merito a una dipendente statale andata in pensione anticipata nel 2016, con ben 42 anni di servizio, la quale ha ricevuto la prima rata della buonuscita soltanto nel dicembre 2018.

Il differimento della buonuscita non è passato inosservato alla lavoratrice, che giudica tale meccanismo assolutamente scorretto. La questione finisce addirittura nelle aule della Corte Costituzionale, che respinge le pretese avanzate dalla dipendente. A detta dei giudici, per i dipendenti pubblici resta il pagamento differito, e a rate, della buonuscita, così come previsto dalla L. n. 147/2013 (cd. Leggi di Stabilità 2014).

Tale ipotesi, tuttavia, afferma l’Ufficio stampa della Corte Costituzionale, è valevole esclusivamente per i lavoratori che accedono alla pensione per ragioni differenti dal raggiungimento dei limiti massimi di età o di servizio, che per l’anno 2019 è pari a 67 anni. Nel caso di specie, quindi, la Corte ha ritenuto non irragionevole il regime restrittivo previsto dal legislatore, che consiste – come detto – nel differimento dell’indennità in 12 o 24 mesi e il pagamento in rate annuali.

In ragione di ciò, i giudici ritengono assolutamente legittimo il posticipo di 12/24 mesi del pagamento della buonuscita, nonché il pagamento a rate, per i dipendenti pubblici che si dimettono volontariamente dal lavoro. Si pensi, ad esempio, a un lavoratore pubblico che intende accedere alla pensione mediante “quota 100”, ossia a 62 anni e 38 anni di contributi. Ebbene, trattandosi di una scelta di ricevere il trattamento previdenziale in anticipo rispetto ai requisiti ordinari, vale indubbiamente il suddetto differimento.

Nulla è stato specificato, però, in merito al differimento di 12 mesi e delle relative rateazioni per i dipendenti pubblici che vengono collocati in pensione poiché hanno raggiunto l’età per accedere alla pensione di vecchiaia (cd. collocamento in pensione forzoso).

Buonuscita statali: meccanismo di erogazione a rate

L’art. 1, co. 484 e 485 della L. n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014) ha esteso la modalità di pagamento rateale dei TFS e dei TFR dei dipendenti pubblici, nonché degli altri dipendenti iscritti alle gestioni delle indennità di fine lavoro dell’Istituto (ex Enpas ed ex Inadel).

In particolare, per i dipendenti che cessano dal servizio dal 1° gennaio 2014 e che conseguono i requisiti pensionistici a decorrere dalla stessa data, i TFS e TFR, comunque denominati, vengono corrisposti:

  • in un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è pari o inferiore a 50.000 euro;
  • in due importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro; in tal caso il primo importo annuale è pari a 50.000 euro ed il secondo importo annuale è pari all’ammontare residuo;
  • in tre importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è uguale o superiore a 100.000 euro; in tal caso il primo importo annuale è pari a 50.000 euro, il secondo importo annuale è pari a 50.000 euro e il terzo importo annuale è pari all’ammontare residuo.

Buonuscita dipendenti statali: quando spetta

Quanto alle tempistiche di erogazione della buonuscita, la disciplina prevede tre termini di pagamento:

  • termine breve: entro 105 giorni dalla cessazione. In caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso, trova applicazione il termine breve in relazione al quale la prestazione deve essere liquidata entro 105 giorni dalla cessazione. In particolare, si ricorda che l’ente datore di lavoro è tenuto a trasmettere all’INPS gestione dipendenti pubblici la documentazione necessaria entro 15 giorni dalla cessazione del dipendente. l’Istituto Previdenziale, a sua volta, provvede a corrispondere la prestazione, o la prima rata di questa, entro i tre mesi successivi alla ricezione della documentazione stessa. Decorsi questi due periodi sono dovuti gli interessi;
  • termine di 12 mesi. Si applica in caso di: raggiungimento dei limiti di età, cessazioni dal servizio conseguenti all’estinzione del rapporto di lavoro a tempo determinato per raggiungimento del termine finale fissato nel relativo contratto di lavoro e cessazione dal servizio a seguito di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro;
  • termine di 24 mesi. Si applica in caso di: dimissioni volontarie, con o senza diritto a pensione anticipata e per recesso da parte del datore di lavoro (licenziamento, destituzione dall’impiego, ecc.).

Daniele Bonaddio

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