Bullismo, Mobbing e Stalking

Seppur questi tre concetti appartengano a tre cose diverse, si converrà sul fatto che il minimo comun denominatore delle tre pratiche è identico.

Nel bullismo è fuori discussione che l’obbiettivo dei gesti sia quello di “espellere”, allontanare, il soggetto dall’ambiente di scuola o dall’ambiente di gioco, costringerlo a vivere la sua permanenza nella classe come una sofferenza.

Nel mobbing l’ambiente dal quale espellere il soggetto è quello di lavoro, o, visto che alcune teorie vogliono che il mobbing venga perpetrato ai danni dei soggetti con maggiori capacità, di rendere improduttivo il lavoratore.

Nello stalking, che non è solo quello di un pretendente verso il soggetto da cui si aspetta di essere amorevolmente contraccambiato, lo stalkizzato viene posto di fronte alla scelta o di permanere nella situazione che così gravi patemi d’animo arreca al suo IO, oppure di accondiscendere alle richieste dello stalkizzatore per veder rimosse le cause della propria complicazione di vita. L’effetto dello stalking è si essere espulsi dall’ambiente sociale e di vita solito del soggetto oggetto di pratiche stalkizzatrici.

Tanto il bullismo quanto lo stalking, il primo per un’estensione delle riflessioni sul mobbing ed il secondo per un intervento legislativo abbastanza recente (L. 38/2009, voluta dal bravo ministro Carfagna, che ha posto all’avanguardia la disciplina italiana) hanno in comune la violazione del principio del neminem laedere, ma, nel caso dello stalking, la tutela che viene proposta è quella penale.

Per il bullismo e per il mobbing, le tutele ricostruite dalla giurisprudenza sono invece tutte civili, che puntano, in assenza di fattispecie penali, al reintegrare la vittima dei patimenti subiti dall’esercizio di queste pratiche per equivalente economico. Nel caso del bullismo, addirittura la tutela è molto semplice, trattandosi di evento occorso nell’ambiente scolastico, “davanti” al maestro o al professore di studenti infra quattordicenni: è chiaro che un genitore, quando lascia il proprio pargolo a scuola non si aspetta solo che esso venga istruito, ma anche che venga istruito nella maniera più tranquilla possibile, scevra da ogni tipo di turbamento, diverso dall’obbligo di studiare. L’obiettivo dei bulli è, appunto, quello di arrecare turbamento nel soggetto passivo, che si traduce nella paura di andare a scuola, di vivere l’ambiente scolastico, ed in tutte quelle cose di cui la brava psicologa Tugnoli potrà darci ancora saggio su queste pagine. Si diceva che fosse facile la tutela da questo genere di cose (il bullismo) perché, vuoi che si chiami “contratto sociale qualificato”, vuoi che si chiami “obbligazione di garanzia”, resta il fatto che il docente di alunni infra quattordicenni non è un professorone universitario che sta fermo in cattedra e commina sanzioni proponendole alla commissione didattica di facoltà (e, personalmente, non ho mai sentito cose del genere) ma è il dominus della vita degli alunni in tutte quei momenti che si collegano finalisticamente alla scuola. Esso, e la struttura scolastica, non sono responsabili per un danno occorso durante le vacanze estive dell’alunno, ma per ogni danno la cui eventualità poggi proprio nella frequenza scolastica la sue basi. La responsabilità sarebbe “oggettiva”, in quanto, stante il collegamento del danno con la frequenza scolastica, per omessa vigilanza, è la scuola che deve risarcire il danno subito dall’alunno. Gli avvocati dell’istituto, di fronte alle perizie mediche che accertano che lo studente ha paura di andare a scuola per via dei bulli che lo minacciano, possono al massimo provare a diminuire il valore economico da risarcire, ma il fatto è già dimostrato e quindi la famiglia dello studente malcapitato ha solo da aspettare la sentenza ed il risarcimento.

Il mobbing è, fattualmente, la stessa cosa, con qualche differenza non di poco conto. La dottrina psicologica mondiale ha accertato che il soggetto mobbizzato è sempre quello che più fa paura al “branco” per la sue capacità. Perfino in etologia (lo studio del comportamento degli animali) il soggetto aggredito dal branco è quello che appare più forte, in grado di generare timore istintivo negli altri animali che poi sfocia nell’aggressione. In etologia l’aggressione si conclude con la morte del soggetto aggredito, evento che riporta il branco nella condizione equilibrata che possedeva prima che si rendesse conto che quel soggetto ne minacciasse l’equilibrio. L’equilibrio di cui si parla è quello che mette tutti nelle stesse condizioni di procacciarsi il cibo e di riprodursi. E’ davvero triste rendersi conto di quanto gli esseri umani giungano ad assomigliare a delle bestie quando si verifica il mobbing. Ed ancora più triste è pensare che il mobbing è una di quelle cose che tiene noi tutti legati alla terrenità. Anche per il mobbing la tutela che si è consolidata sia in dottrina che in giurisprudenza, è quella che parte dalla responsabilità oggettiva del datore di lavoro (art. 2087 c.c.) per far discendere dalla sua omessa vigilanza la causa degli eventi mobbizzanti e dei danni derivati (la cui dimensione è, giocoforza, molto maggiore che negli eventi occorsi in caso di bullying) visto che per tramite del lavoro la persona si realizza e sviluppa la propria personalità e, cosa da non sottovalutare, si procura da vivere per sé e la propria famiglia.

Questo ragionamento, all’apparenza ineccepibile, sostenuto da lavoristi del calibro di Ichino, ha, tuttavia, qualche bugs. Con la nuova filosofia della direttiva 391/89, che in Italia, nel 1994, ha dato vita al dlgs 626 (adesso L.81/07), è entrato tra i doveri del datore l’obbligo di redigere il famoso “documento di valutazione dei rischi”, nel quale ogni possibile rischio per la salute dei lavoratori deve essere menzionato assieme ai rimedi per scongiurare gli accidenti sul lavoro. In Europa, intenendendo a Bruxelles, sono addirittura andati avanti, immaginando che il mobbing, in quanto “rischio” dell’attività lavorativa, dovesse, per direttiva, essere incluso nelle materie oggetto del documento di valutazione dei rischi. In Italia vi è una norma che dice chiaramente che la responsabilità contrattuale ha senso quando i danni che si producono in un rapporto contrattuale erano, al momento della nascita del contratto, prevedibili dall’altra parte. Allora, si sono chiesti in Europa, visto che il principio della prevedibilità del danno è standard del diritto di civil law europeo, perché non inserire nel DVR anche il rischio di mobbing e le soluzioni per evitarlo? Il tentativo però non andò a buon fine, e la direttiva 391/89 non venne mai emendata in questo senso.

Resta il fatto che i soggetti che compiono mobbing sono molto più maturi dei bulli di cui sopra, e sottili, ed il danno che si provoca a seguito del mobbing è un danno alla psiche (esistenziale, morale,clinico) e che, e questo è il paradosso a cui si è giunti in questi anni, per un danno il cui meccanismo di produzione è sotterraneo ed invisibile, viene chiamato a rispondere il datore di lavoro e non chi il danno lo ha effettivamente commesso, non assicurando al mobbizzato, una volta reintegrato del danno dall’azienda, la certezza che l’ambiente di lavoro sia uguale a prima che il mobbing iniziasse.

Per lo stalking, siamo andati nel penale e nella vastità della società. La fattispecie dello stalking, ancora ignota alla quasi totalità degli avvocati del nostro Paese, non è solo quella subita dalla ex fidanzata dello stalker ma è anche tutta quella serie di turbamenti che vengono arrecati allo stalkizzato nei modi più vari. Lo stalking giudiziario, per esempio, sono quegli atti giuridici intesi a minacciare il soggetto stalkizzato per farlo desistere da propositi o semplicemente per dispetto. Anche questo tipo di stalking trova tutela, nel senso che dimostrata la vacuità delle pretese a cui viene obbligato lo stalkizzato, il reato è già bell’e dimostrato ed incontra prontamente la tutela giudiziale.

Dal civile al penale, questa riflessione fa emergere come il principio del neminem laedere all’inizio del terzo millennio, sembri ancora lontano dal conoscere un superamento, tanto lontano da immaginare che il dolo lesivo (il dispetto) faccia parte ineluttabilmente dell’umanità (non già dell’infanzia o di adulti un poco ignoranti) ma di tutta l’umanità. Ci vuole un avvocato esperto conoscitore delle normative ma soprattutto della vita per resistere a ciò che dall’uomo agli animali più stupidi è parte del loro agire quotidiano. E ci vuole una società che mostri attenzione al neminem laedere al punto che, chissà, un giorno sia essa stessa ad evitarlo, visto che essere individuato in un “branco” (anche nel caso di violenza sessuale) non fa recedere nessun membro dal comportarsi come parte del branco, anzi, proprio come per gli animali più stupidi, è proprio quella la ragione per la quale si fanno avanti pensieri di impunibilità. Non è così, ed il diritto sarà capace, anche in questo caso, di trovare una risposta impetuosa e giusta, visto che non sono stati dei religiosi ma degli illuministi a parlare per primi della perfettibilità dell’essere umano.

Gregorio Marzano

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