Tutto inizia quando la multinazionale americana della birra decide di registrare presso l’ufficio comunitario dei marchi – UAMI Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno – il marchio denominativo e figurativo “BUD” per alcuni dei propri prodotti.
La Budejovicky Budvar si oppone subito, sostenendo di utilizzare già la denominazione “Bud” per commercializzare le proprie birre in alcuni Paesi dell’Unione, tra cui anche l’Italia; il punto, infatti, è che il regolamento sui marchi comunitari prevede la possibilità per chi già utilizza un segno nel traffico commerciale a un livello non puramente locale, di opporsi alla registrazione di analoga denominazione da parte dei concorrenti.
Su queste basi, in un primo momento il Tribunale dell’Unione europea aveva dato ragione all’impresa ceca ma la vittoria giudiziale della Budejovicky Budvar non è durata a lungo.
In sede di appello, infatti, la Corte di Giustizia aveva affermato il principio per cui un’indicazione geografica protetta in uno Stato membro poteva legittimare l’opposizione alla registrazione di un marchio comunitario equivalente soltanto laddove risultasse provato un uso significativo di tale denominazione su una parte rilevante del territorio dello Stato interessato; la Corte aveva quindi rimesso la causa al Tribunale per verificare se, alla luce di tale principio, l’uso della denominazione “Bud” da parte di Budejovicky Budvar avesse avuto o meno una rilevanza meramente locale.
Al secondo giro, il Tribunale ha finito con il dare ragione all’azienda americana, dopo aver rilevato che la Budejovicky Budvar non era riuscita a dimostrare di aver utilizzato la denominazione “Bud” su una parte rilevante del territorio degli Stati membri per i quali invocava la tutela.
Gli unici documenti da cui risultava tale utilizzo erano infatti alcune fatture relative alla fornitura di piccoli quantitativi di birra in alcune località della Francia e dell’Austria.
In particolare, nel caso di quest’ultima le fatture provavano la vendita dei prodotti della Budejovicky Budvar in più di una località sul territorio austriaco, ma i quantitativi commercializzati al di fuori della capitale erano del tutto trascurabili.
Per il Tribunale dell’Unione europea questo equivale a un uso puramente locale di un segno nel traffico commerciale e su tali basi la domanda della Budejovicky Budvar è stata respinta.
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