Il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Graziano Delrio, si è opportunamente interrogato sulle modalità circa un’eventuale e prossima abolizione delle Province. Mi sembra un modo corretto per affrontare il problema delle autonomie locali territoriali, in particolare delle Province, sebbene sia del parere che la scelta in questione sia più il frutto della retorica populista che di una riflessione giuridica approfondita. La scelta della legge di revisione costituzionale, volta a modificare l’art. 114 della Carta e tutte le altre disposizioni inerenti le amministrazioni provinciali, non è così in discesa come si può in un primo momento pensare. Infatti, senza voler arrivare a sostenere che la norma dell’art. 114 costituisce un principio di livello costituzionale che non può essere derogato neppure da una fonte costituzionale, a meno che non vi siano particolari ragioni che giustificano l’abbandono del modello istituzionale designato dal Testo fondamentale, ipotesi peraltro sostenuta da una parte degli studiosi, ritengo che anche la legge di revisione non possa tradire un’opzione di fondo della nostra Carta, ossia che ogni modifica/soppressione richiede un coinvolgimento dal basso, pena il rischio di una rottura del patto costituzionale. Mi spiego meglio: certamente una fonte di rango costituzionale è abilitata a modificare il procedimento di revisione delle circoscrizioni provinciali indicato nell’art. 133, comma 1, Cost., per di più che nel nostro caso non entrerebbe neppure in gioco una semplice modifica bensì una soppressione totale dell’ente, ma non fino al punto di stravolgere una scelta basilare del legislatore costituente in sede di attuazione di valori costituzionali supremi. In altri termini, la Costituzione pare porre una riserva d’iniziativa a favore degli enti locali per ogni intervento che incida, anche in maniera radicale, sul territorio di Province e Regioni, esaltando in questo modo quella concezione pluralista della democrazia, nella quale gli enti locali fungono da cerniera di collegamento di istanze che provengono dal basso, e che anche la legge costituzionale è chiamata a rispettare. Infine, “la vaghezza e indeterminatezza degli scenari “post-provinciali” tradiscono l’improprietà dell’impostare la questione in termini meramente “abolizionisti”, eludendo così il tema del ruolo di un ente intermedio di area vasta e del complessivo riassetto delle autonomie territoriali. Non sarà casuale, per fare un esempio, che un livello di governo provinciale esiste pressoché in tutti i paesi europei e di solito contestualmente a un governo regionale (Province in Belgio, Dipartimenti o Province in Francia, Circondari o Province in Germania, Deputazioni in Olanda, Province in Spagna, ecc.)” (Cfr., S. CIVITARESE MATTEUCCI, La garanzia costituzionale della Provincia in Italia, in Le Istituzioni del federalismo, n. 3/2011, p. 492). Questo non significa immobilismo o volontà di mantenimento dello status quo, ma una presa di coscienza che la sfida decisiva delle autonomie locali e delle Regioni non si gioca tanto su pseudo forme di regionalismo a geometria variabile, quanto sull’esatta identificazione delle rispettive funzioni in nome del principio di unicità delle stesse per ciascun livello di governo territoriale.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento