L’autore ha firmato alcuni volumi in tema di verifiche da parte degli istituti di credito, come “Gli accertamenti bancari” (Maggioli, 2013)
La motivazione ufficiale, alla base dei provvedimenti, è l’evoluzione dell’accordo intergovernativo per lo scambio automatico di informazioni con il fine della lotta all’evasione.
La motivazione effettiva del “cambio di rotta” forse va ricercata nelle difficoltà operative degli intermediari finanziari e nel senso di tale tipologia di tassazione, sia pure in acconto.
Immaginiamo, per un attimo, che la maggior parte delle movimentazioni finanziarie dall’estero non abbiamo natura reddituale, come ad esempio potrebbe succedere per i redditi prodotti all’estero dai lavoratori “transfrontalieri” residenti in Italia che, per comodità, hanno aperto un conto corrente nel Paese di lavoro e vogliono far rientrare in Italia i redditi già tassati.
Si sarebbe verificato, per tutti, un credito d’imposta ma soprattutto una tassazione senza fondamento perché l’oggetto di tassazione non sarebbe stato un reddito ma una movimentazione finanziaria, quindi, una illegittimità operativa della norma “di rango costituzionale”.
Si può, cioè, tassare un reddito prima che si accerti che sia tale, lasciando che sia il cittadino a dichiarare, successivamente, che non è un reddito ?
Evidentemente no. Perché, come abbiamo avuto modo già di approfondire, in merito agli accertamenti bancari, non serve il “metodo di accertamento globale”, sia per l’enorme mole di dati che bisognerebbe analizzare sia per non incorrere in violazioni operative che riguardano il fondamento della nostra Costituzione oltre che dello Statuto del Contribuente.
Quando si tratta di accertamenti bancari, non si può usare la scure ma è necessario il fioretto proprio per far emergere quelle irregolarità sintomatiche dell’evasione attraverso riscontri che, innanzitutto, devono avvenire in concreto “sul campo”.
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