Dimissioni papa: colpa di Vatileaks? Spunta anche una lobby gay

Letizia Pieri 21/02/13
Bisogna smascherare le tentazioni del potere che strumentalizzano Dio per i propri interessi”, le parole pronunciate da Benedetto XVI all’Angelus di domenica scorsa ricadono pesanti sulle teste dei porporati vaticani. La scelta dimissionaria di Ratzinger sembra sempre più dipesa dai riscontri “scandalizzanti” che hanno colpito la Chiesa nella nota vicenda tristemente ribattezzata dai media “Vatileaks”.

Il Papa ha seguito in prima persona, dietro le puntuali revisioni del cardinale dell’Opus Dei Julian Herranz posto a capo della commissione d’indagine, i risvolti  a dir poco “delittuosi” presi dall’inchiesta. Innumerevoli i verbali redatti, sconcertanti le ammissioni degli intervistati, inaspettati i cardinali coinvolti all’interno di un quadro clericale velato da tinte sempre più oscure. Tra lotte di potere e scambi di denaro, è avanzata poi con implacabile certezza l’ipotesi della sussistenza vaticana di una lobby “sessuale”, un intersecante tramaglio marcato da specifico orientamento omosessuale.

Il 17 dicembre 2012, scrive oggi Concita De Gregorio su “La Repubblica”, data della consegna delle 300 pagine d’inchiesta al Pontefice, avrebbe segnato ineluttabilmente la decisione rinunciataria di Ratzinger. In quella stessa settimana il Papa uscente ha incontrato il proprio biografo, Peter Seewald, consegnandogli  quella scelta tanto a lungo ponderata: sono anziano, basta ciò che ho fatto.

Un gesto di fortezza (…) fatto per il bene della Chiesa”, ha commentato Salvatore De Giorgi uno dei tre cardinali inquisitori incaricato di redigere la scabrosa “Relationem”, il Papa “ha dato un messaggio forte a tutti quanti nell’esercizio dell’autorità o del potere si ritengono insostituibili. La Chiesa è fatta di uomini”. La difficile gestione delle  trame che affiorano dalla relazione ora passa nelle mani del futuro Pontefice. Benedetto XVI è consapevole dell’onere tramandato, da qui il suo auspicio di un successore che sia tanto forte quanto “santo”.

Da fonti molto vicine agli inquisitori emerge come “le improprie influenze”, che sembrano segnare gli intrighi clericali, gravitano intorno alla deficitaria ottemperanza di due tra i comandamenti fondamentali: non rubare e non commettere atti impuri. A fare più paura agli alti prelati è proprio l’ultimo dettato, il Dossier in questo si rivela alquanto esplicito: molti degli ecclesiasti coinvolti sono caduti in posizioni ricattabili in quanto legati a laici da rapporti di “natura mondana”.

Sono tanti, in tal senso, gli episodi che riaffiorano, uno fra tutti quello che ha segnato la sospensione di Monsignor Tommaso Stenico, in seguito alle rispettive rivelazioni televisive sui presunti incontri sessuali compiuti nella sede vaticana. Il prosieguo dell’”inquisitoria” approda poi alle ultime vicende, quelle che riguardano lo Ior. E’ qui che entra in gioco il settimo comandamento: i tre cardinali inquirenti (Herranz, De Giorgi e il terzo, più anziano, Josef Tomko) hanno ascoltato tutti gli uomini più vicini al Segretario di Stato Tarcisio Bertone, e sono approdati alla (si spera) risolutiva investitura di René Bruelhart al ruolo direzionale dell’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede.

Papa Ratzinger, per il giorno terminale del suo Pontificato, già preannuncia il ricevimento dei tre cardinali estensori della infelice “Relationem in sessione privata. Seguirà poi l’ultima udienza pubblica presso la sede di Santa Maria Maggiore, il 27 febbraio. E finalmente il Conclave rivelerà il nuovo, tanto atteso successore, per il quale il peso di una così importante eredità mai è stato tanto greve.

Letizia Pieri

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