Le aziende native digitali, hanno avuto la fortuna di poter sviluppare da subito un ecosistema interamente digitale, molto sofisticato, con un effetto dirompente sul livello di customer experience offerto ai loro clienti.
Le aziende già esistenti che abbracceranno la strategia basata su data analytics genereranno un’evoluzione della custom experience e otterranno dei benefici sia operativi sia economici accelerando il processo di efficienza e migliorando la qualità dei prodotti e servizi, con il conseguente incremento dei profitti e riduzione dei costi.
Molti dati ma poca interpretazione
Assistiamo, quindi, a una massiva raccolta di dati lungo l’intero percorso della customer journey, ma una recente analisi di Gartner evidenzia una diminuzione degli investimenti in Big Data pianificati per i prossimi anni, quasi come se i brand fossero più interessati a raccogliere terabyte di dati che a trasformarli in informazioni che supportino le decisioni dei manager e consentano di offrire una migliore custom experience ai propri clienti.
Ogni giorno noi tutti rilasciamo i nostri dati decine di volte, talvolta in modo consapevole, ma più spesso in modo inconsapevole, pensiamo alle tracce della geolocalizzazione dei nostri device, alla memorizzazione delle preferenze, alla cache delle pagine web visitate, alle ricerche on-line, agli acquisti effettuati, ai luoghi fisici dove siamo stati.
Sono però rare le occasioni di ricevere comunicazioni dove ci sia un contenuto che vada oltre il semplice saluto iniziale personalizzato con il nostro nome e la proposizione di prodotti differenziati per sesso.
Esempio, stupisce molto ricevere e-mail che consigliano varianti dello stesso identico acquisto appena concluso, che vengono proposti prodotti alternativi con prezzi inferiori o, ancora, che ci propongano fantastici hotel nella stessa città in cui abbiamo casa e ove presumibilmente andiamo anche a dormire la sera.
L’economia dell’attenzione e il fast food di informazioni
In un mondo dove toccando per 3 volte un pezzo di vetro possiamo avere tutto, ovunque, e subito, non c’è più spazio per situazioni noiose, dove noioso significa poco comprensibile, già visto, ripetitivo, poco pertinente.
E questo vale anche per le informazioni.
Svariate ricerche dimostrano che la nostra soglia media di attenzione è inferiore a quella di un pesce rosso, e gli ultimi anni negli Stati Uniti i livelli di empatia sono crollati del 50%.
Questo pare sia anche correlato all’essere sempre connessi, che diminuisce la capacità di concentrarsi e aumenta il bisogno, e quindi la ricerca, di stimoli nuovi.
Tra le aziende la guerra per l’attenzione è già iniziata perché trattandosi di un bene scarso la concorrenza si fa più spietata: all’aumentare delle informazioni rese disponibili diminuisce, mettendo in crisi l’efficacia della pubblicità, del mondo delle informazioni e dei contenuti nel suo complesso, per orientare le scelte.
Come attrarre il consumatore
Ma come indurre qualcuno, e quindi anche un potenziale cliente, a dedicarti la propria attenzione? Spesso si agisce in maniera push chiedendo l’attenzione, o cercando di prendersela, e il caso di tutte le attività di advertising.
Altre volte sono le persone, di loro iniziativa, a dedicarci attenzione, ed è il caso di una visita sul sito Internet di un’azienda o presso un negozio fisico.
Nel tentativo di coinvolgere un consumatore sempre più distratto dai molteplici input, tra le tattiche più viste negli ultimi tempi, c’è quella della segmentazione e clustering delle basi dati clienti utilizzata a fini di advertising, che sui canali digitali diventa indubbiamente più efficace ed efficiente.
Ecco perché sempre più spesso si sente parlare di Data Management Platform (Dpm).
Ma anche in questo caso è perdente una comunicazione unidirezionale seppur targhettizzata.
Difatti le aziende vincenti sono quelle che riescono a creare un dialogo con i clienti perché oggi qualunque target è sempre meno permeabile e ignora facilmente i messaggi a lui diretti, soprattutto se non lo ingaggiano e non parlano di contenuti ritenuti interessanti.
Se la migliore esperienza è la zero experience
In generale, emerge un apprezzamento per le modalità che consentono di svolgere attività con il minimo sforzo, come acquistare prodotti di consumo con il Dash Button, rinnovare automaticamente la fornitura di prodotti e servizi tramite formule in abbonamento, pagare senza toccare la carta di credito, farsi consegnare la cena a domicilio ordinandola con una app dal locale sotto casa, parlare con un bot per chiedergli di telefonare a un amico, aprire la porta di casa e abbassare le tapparelle ovviamente tutto senza alzarsi dal divano.
Come disse qualcuno che si occupa di pagamenti digitali il nostro obiettivo è fare in modo che le persone paghino senza ricordarsi di aver pagato e le aziende devono seriamente riflettere su questo fenomeno detto anche zero experience per mettersi nelle condizioni di offrire una effortless experience, ossia per rendere ai clienti la vita facile, a maggior ragione in un contesto nel quale l’attenzione e il tempo dei clienti sono risorse limitate.
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