Così, vengono fissati dei paletti piuttosto rigidi entro i quali potranno essere inclusi tutti i professionisti che si trovino in regola con i requisiti che figureranno nel decreto, il quale, ora, viene comunque sottoposto all’attenzione del Consiglio nazionale forense.
Si tratta di un’uscita inattesa da parte del ministero Orlando, che fa il paio con la riforma della difesa d’ufficio, approvata in Consiglio dei ministri e pubblicata in Gazzetta ufficiale nei giorni scorsi.
Ora, dunque, il governo ha intenzione di rinnovare profondamente la professione forense, ad appena due anni dalla riforma professionale del 2012, che attende ancora una completa attuazione per i numerosi regolamenti e decreti che ha richiesto sin dal primo via libera parlamentare.
Ora, dunque, arriva questo nuovo provvedimento che sta già scatenando un vespaio tra le associazioni, gli studi professionali e le rappresentanze di categoria. In poche righe, lo schema di decreto liquida i requisiti essenziali per poter chiamare u professionista “avvocato”.
Come potersi ritenere professionisti forensi
Innanzitutto, il ministero sancisce che ogni triennio il Consiglio dell’ordine dovrà verificare la conservazione dei requisiti elencati, i quali andranno soddisfatti appieno, ma non basteranno a tracciare il confine tra gli avvocati doc e il resto degli iscritti: la professione andrà infatti svolta in maniera continuativa, abituale e prevalente.
L’unico margine ammesso è quello dei cinque anni a seguito dell’iscrizione: dopo il superamento dell’esame, per i neo professionisti sarà concesso un margine extra di due anni per uniformarsi ai criteri di esercizio della professione.
Ma come viene definita la professione legale in maniera continuativa e prevalente? Ecco i punti fissati dal governo:
a) la titolarità di una partita Iva;
b) l’uso di locali e di almeno un’utenza telefonica destinati allo svolgimento dell’attività professionale, anche in forma collettiva (associazione professionale, società professionale, associazione di studio con altri colleghi);
c) la trattazione di almeno 5 affari per ogni anno dei 3 presi in considerazione, anche se l’incarico è stato inizialmente conferito ad altro legale;
d) la titolarità di un indirizzo Pec comunicato al Consiglio dell’ordine;
e) l’avere assolto l’obbligo di aggiornamento professionale secondo modalità e condizioni stabilite dal Cnf;
f)la stipula di una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile che deriva dall’esercizio della professione;
g)la corresponsione dei contributi annuali dovuti al Consiglio dell’ordine;
h) il pagamento delle quote alla Cassa di previdenza forense.
Oltretutto, fanno notare gli osservatori, la mancanza dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione può significare la cancellazione dall’albo. In breve, il mancato versamento dei contributi all’Ordine ed alla Cassa, porta dritti allo stesso esito.
Naturalmente, gli otto requisiti sopra elencati dovranno essere soddisfatti completamente e in simultanea da parte degli iscritti all’Albo. Un decreto successivo a quello sui requisiti, poi, stabilirà le modalità attraverso cui individuare le dichiarazioni sostitutive che saranno controllate a campione.
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