Autotutela esecutiva PA: illegittima per il recupero di beni del patrimonio disponibile

La Pubblica Amministrazione, al fine di recuperare il possesso di un immobile facente parte del suo patrimonio disponibile, non può adottare provvedimenti riconducibili all’esercizio della c.d. potestà di autotutela esecutiva.

E’ questo il principio enucleabile dalla sentenza del Tar Lecce n. 1985 del 2012.

Il ricorrente, segretario provinciale di una organizzazione sindacale, aveva richiesto ad un comune di condurre in locazione alcuni locali di proprietà comunale al fine di poter ivi promuovere attività di addestramento professionale, in linea con le previsioni statutarie del sindacato.

Dopo la stipula di apposito contratto di locazione di tipo privatistico tra il comune e il ricorrente e dopo alcune proroghe della durata del rapporto locatizio, il Dirigente del Settore Patrimonio del comune ingiungeva al conduttore di lasciare libero da persone e cose l’immobile di proprietà comunale, entro e non oltre 15 giorni dalla notifica del provvedimento; ed ordinava, altresì, in caso di inottemperanza, lo sgombero coattivo con il coinvolgimento di agenti del Comando di Polizia Municipale.

La determina dirigenziale sopra evidenziata, emanata sul presupposto della utilizzazione dell’immobile come punto di accoglienza di immigrati extracomunitari richiedenti o titolari di protezione internazionale e protetti umanitari, veniva impugnata dal conduttore.

Il Tar ritiene fondato il ricorso, poichè la P.a., al fine di recuperare il possesso di un immobile facente parte del suo patrimonio disponibile, aveva assunto illegittimamente provvedimenti riconducibili all’esercizio della c.d. potestà di autotutela esecutiva.

Infatti, una volta scaduto il termine di durata del rapporto di locazione dell’immobile adibito a sede di addestramento professionale dal ricorrente, il comune per rientrarne in possesso aveva adottato una ordinanza di rilascio in via amministrativa .

In tal senso depone, quale aspetto qualificante del provvedimento in argomento, la perentorietà dell’avviso con il quale, nel contesto dell’ordine di sgomberare il locale detenuto in locazione da cose e persone entro e non oltre la data indicata dalla P.a., è stata preannunciata la volontà della medesima di conseguire la disponibilità del vano condotto in locazione dal ricorrente anche d’ufficio ( dunque, essenzialmente con ricorso alla forza pubblica e con spese in danno della parte privata ).

Secondo Il Tar non possono esservi dubbi circa il fatto che un’ordinanza di questo tipo appartenga al modello legale tipico di autotutela esecutiva.

Infatti l’ordinamento giuridico conferisce alla Pubblica amministrazione una posizione di supremazia speciale che si manifesta nella possibilità di incidere unilateralmente nella sfera giuridica dei consociati indipendentemente dal loro consenso, anche quando si tratta di restringerne la sfera di libertà.

Ciò accade solitamente in forza della spendita di poteri autoritativi, il che implica l’adozione di atti con i quali la P.a. manifesta la volontà di dare un certo assetto di interessi ad una vicenda che coinvolge il privato, essenzialmente per il raggiungimento di un fine pubblico primario.

Quando il rapporto giuridico con il privato ha ad oggetto la concessione in uso, da parte della P.a di un bene immobile del demanio o appartenente al patrimonio indisponibile dell’ente, il ricorso alla potestà di adottare provvedimenti autoritativi può risolversi nell’esercizio della c.d.autotutela esecutiva.

L’autotutela esecutiva, a sua volta, rinviene la sua fonte di legittimazione negli artt. 823 e 824 del c.c..

Mentre l’art. 823 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce , al suo secondo comma, che “spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice”, l’art 824 estende il regime dei beni del demanio pubblico ai beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’art 822, se appartengono alle province o ai comuni.

La facoltà di procedere in via amministrativa implica addirittura la possibilità di avvalersi di speciali poteri recuperatori del bene, anche a prescindere dall’intervento dell’Autorità giudiziaria, non escluso il ricorso all’uso della coazione.

L’autotutela esecutiva della P.a. delinea un’area di esenzione dall’applicazione concreta di quelle disposizioni che il codice penale dedica al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, di cui all’art 393 c.p., fattispecie che si attaglia a casi in cui il recupero della disponibilità di un bene avviene non già per mezzo degli strumenti ordinari di tutela, ma con l’uso della forza.

Dall’insieme di queste disposizioni, e dalle ulteriori norme che il codice civile dedica alla disciplina dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici, si desume che il legislatore ha inteso introdurre uno statuto speciale a protezione non solo dei beni del demanio, ma anche dei cd beni del patrimonio indisponibile ( sia dello Stato de chi altri enti pubblici).

La possibilità concessa alla P.a. di avvalersi del particolare regime giuridico dei beni del demanio e di quelli del patrimonio indisponibile onde recuperarne il possesso, ivi compresa la potestà di “procedere in via amministrativa” presuppone, pertanto, che il bene di cui si discute sia catalogabile nel novero di quelli assoggettati al regime ora ricordato.

Siffatta inclusione esige, a sua volta, che il bene sia dotato di talune caratteristiche; infatti, deve trattarsi di bene assoggettato ad una particolare condizione di asservimento all’uso pubblico.

Tanto può avvenire solo in forza di un atto amministrativo che gli conferisca una destinazione di questo tipo oltre ad elementi dai quali desumere una concreta utilizzazione di marca pubblicistica.

Siffatte coordinate ermeneutiche sono state espresse, di recente, dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha statuito che “Per il riconoscimento dell’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile, sulla base dell’espressione letterale (««beni destinati….») contenuta nell’art. 826 comma 3 c.c., si richiede la compresenza di un requisito soggettivo, consistente nella proprietà del bene da parte della Pubblica Amministrazione, e di un requisito oggettivo, costituito dalla concreta destinazione dello stesso al pubblico servizio; in difetto del requisito oggettivo, un bene, pur di sicura formale appartenenza allo Stato, alla Provincia o al Comune, ma non facente parte del demanio necessario, non acquista natura di bene patrimoniale indisponibile: risulta insufficiente, ai fini di tale destinazione, un mero progetto di utilizzazione, benché espresso in un atto amministrativo, occorrendo, invece, che lo stesso sia seguito da opere di trasformazione o che, comunque, superando l’elemento meramente intenzionale, diano effettività alla destinazione”  ( Tar Sicilia, Catania, 12 marzo 2012 )

Ad avviso del Tar solo in presenza di caratteristiche come quelle ora ricordate il bene immobile di cui si discute può essere ricondotto nel catalogo dei beni del patrimonio indisponibile con conseguente possibilità, per la P.a. che ne è proprietaria, di recuperarne il possesso in regime di autotutela esecutiva.

Quando, invece, l’immobile non è asservito ad uso pubblico in forza di un atto amministrativo che ne abbia tracciato la destinazione ad un fine di primario interesse generale in uno alla concreta sua utilizzazione a tale fine, la P.a. è obbligata ad avvalersi dei mezzi ordinari di tutela a difesa della proprietà e del possesso al fine di recuperarne la disponibilità.

E, proseguendo lungo la stessa traiettoria argomentativa, nel caso in cui il bene immobile appartenente al patrimonio disponibile dell’Ente sia stato concesso in locazione, la P.a. può recuperarne il possesso solo utilizzando i rimedi che l’ordinamento giuridico appronta coerentemente al fine di sancire l’illegittimo protrarsi di un rapporto locatizio ( sfratto per finita locazione) o al fine di stigmatizzare l’inadempimento, da parte del conduttore, dell’obbligo di pagare il canone ( sfratto per morosità) .

Nel caso concreto, osserva il Tar, il comune ha esternato la volontà di conferire un particolare uso pubblico all’immobile in esame ( e cioè la sua destinazione all’accoglienza di immigrati extracomunitari richiedenti o titolari di protezione internazionale e protetti umanitari , attraverso il finanziamento del progetto di riqualificazione della struttura) solo con una delibera di Giunta Comunale, poi integrata da successivo provvedimento. Ma difettava, nel caso di specie, una specifica e concreta utilizzazione dell’immobile al fine divisato.

Questa circostanza conferma, pertanto, che il bene immobile controverso faceva parte del patrimonio disponibile del Comune durante tutto il rapporto di locazione intercorso con il ricorrente e che, in queste circostanze, la P.a. non poteva legittimamente rientrare in possesso dell’immobile attraverso il recupero coattivo del bene ma doveva utilizzare gli ordinari mezzi di tutela innanzi al G.O., a pena di indebita estensione dello speciale regime di tutela che l’ordinamento appronta solo per beni con particolari caratteristiche.

 

Francesco Navaro

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento