Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 40520 dell’8 novembre 2011, accogliendo il ricorso di un indagato contro cui era stata disposta la misura di custodia cautelare in carcere in base ad alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia.
Secondo il Tribunale locale tali dichiarazioni, che identificavano l’imputato come appartenente ad una famiglia mafiosa, erano sufficienti per far scattare il provvedimento cautelare.
Non sono della stessa opinione però i giudici della Suprema Corte, secondo cui la mera appartenenza ad una famiglia mafiosa non sarebbe sufficiente, ma andrebbe accompagnata a specifici comportamenti/fatti che possano ritenersi, sul piano logico, significativi di un consapevole apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento