Il caso in esame riguardava un ex marito che in seguito alla sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, che l’obbligava a corrispondere un aumento dell’assegno, questi proponeva ricorso dinanzi alla Suprema Corte lamentando violazione e falsa applicazione dell’ art. 156 c.c. nonché omesso esame dei fatti decisivi.
Premesso che, l’art. 156 c.c. rubricato sancisce che “il contributo economico deve essere connotato in termini di ragionevolezza equità ed equilibrio”.
Tanto premesso, la Suprema Corte pronunciandosi sulla delicata questione ebbe modo di chiarire che “la separazione a differenza del divorzio, che comporta la cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè i redditi adeguati cui va rapportato, ai sensi dell’ art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’ addebito sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza diversa dalla solidarietà post- coniugale, presupposto dell’ assegno divorzile”( Cass. n. 12196 dl 16/5/2017).
Quanto al secondo motivo ribadiscono che non ha errato la Corte d’ Appello nel valutare la sproporzione reddituale e patrimoniale esistente tra le parti, poiché la precedente determinazione dell’ assegno era destinato al pagamento integrale del canone di locazione.
A ciò si aggiunge che le valutazione astratte fatte emergere in giudizio dall’ ex marito circa la capacità lavorativa dell’ ex consorte non assumono rilievo fino a quando non si concretizzano nello svolgimento effettivo di un lavoro retribuito alla luce del fattore ambientale e individuale.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
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